Jacques Lacan, passato presente futuro
Arriva in Italia, edito da Mimesis, il dialogo di qualche anno fa tra Alain Badiou ed Élisabeth Roudinesco sull’opera geniale del noto psicoanalista francese. Non è soltanto una profonda riflessione sul suo lascito, ma anche un gesto d’amore verso una disciplina, la psicoanalisi, sempre al centro di attacchi indiscriminati
Il dialogo profondo, mai scontato, tra Alain Badiou ed Élisabeth Roudinesco non ci dice soltanto del Lacan di ieri e di oggi, ma anche del Lacan di domani. Il titolo, Jacques Lacan, Passato presente. Un dialogo, edito ora da Mimesis, uscito in Francia nel 2012, sembrerebbe escluderlo, ma in realtà il genio del noto psicoanalista francese è destinato a irradiarsi oltre. Non basta ciò che ha detto e che continua a dire, attraverso i Seminari. Conta ciò che dirà, poiché non potrà non dirlo, essendo la sua voce così squillante da rinnovarsi nel tempo, da aprire innumerevoli prospettive, da richiamare l’attenzione di chi l’ha scoperta, da attrarre l'intelligenza di chi la scoprirà.
Scrive Diana Napoli nella presentazione: «Cosa ci ha lasciato, dunque, Lacan? Alain Badiou ed Élisabeth Roudinesco si interrogano, a trent’anni dalla morte, proprio su quest’eredità, non per appropriarsene o autorizzarsene, ma per restituire l’importanza, nel loro percorso, di quell’etica della parola attraverso cui Lacan è stato capace di assumere e incarnare la struttura del “discorso dell’analista”, ovvero quel discorso in cui la posizione di agente è tenuta non dalla legge, non dal sapere, non dalla nevrosi, ma dal godimento, dall’oggetto a, dall’impossibile – dal reale, che è l’oggetto dell’analisi e la tragedia stessa del soggetto. Lacan, essenzialmente, per più di due decenni, non ha fatto che parlare, trasformando il suo seminario, quasi una teatralizzazione della cura – e forse finanche una drammatizzazione – in un “rito teorico” che riduceva l’esercizio psicoanalitico alla sua essenza di essere “atto e teatro”, cioè “parola”».
Alain Badiou ha conosciuto Lacan tenendosi, tuttavia, lontano dal suo divano: «Non sono mai diventato psicoanalista e del resto nemmeno sono stato in analisi, ho ignorato il divano. Lacan è sempre stato per me un pensatore di primo piano e non un maestro nell’ambito della psicoanalisi. Primato dello scritto, sempre! Ed è a questo titolo che occupa un posto considerevole nel mio lavoro filosofico e questo fin dalla prima opera di sintesi del mio pensiero, Teoria del soggetto (1982). È stato, e lo è ancora, una presenza costante nel mio orizzonte intellettuale».
Per Élisabeth Roudinesco, «Lacan, da una parte, ha cercato di far capire ai filosofi che la psicoanalisi era portatrice di una rivoluzione filosofica. Dall’altra, ha indotto gli psicoanalisti a rivolgersi alla filosofia. Questo secondo punto è importantissimo: Lacan si è nutrito di filosofia e ha fatto partecipare molti filosofi al suo seminario proprio per accrescere il bagaglio intellettuale degli psicoanalisti che, a suo parere, era sguarnito. Grazie a lui, gli psicoanalisti hanno riscoperto la filosofia e gli intellettuali la psicoanalisi in un’epoca in cui quest’ultima sembrava schiacciata tra la psicologia e la medicina. Persone che, come me, avevano una formazione di tipo letterario, hanno potuto riscoprire la filosofia grazie allo strutturalismo e a una generazione di filosofi che avevano uno stile perché si interessavano alla letteratura: era quanto mi era mancato al liceo. Per quello che mi riguarda, ho iniziato a leggere seriamente Spinoza o Hegel solo dopo aver letto Althusser e Foucault e dopo aver assistito alle lezioni di Lacan».
Lezioni che restano attualissime se è vero che per la biografa di Lacan, «il XXI secolo è già lacaniano perché Lacan aveva predetto tutte le sue derive e perché proprio il suo pensiero ci permette di combatterle. Pur essendo piuttosto dedito al piacere, Lacan non esaltava affatto il cieco edonismo che sostituisce l’illusione alla ricerca della verità del desiderio. Si opponeva a tutte le forme di ripiegamento identitario che negano l’alterità che ci costituisce, alla psicologia comportamentale, al cognitivismo, che riportano l’uomo alla sua naturalità, riducendolo al suo essere biologico, al suo cuore e al suo cervello».
Per Badiou, «Lacan avrebbe senza dubbio stigmatizzato le stupide terapie cognitivo-comportamentali che sono parte integrante della malattia. Si sarebbe ribellato alla medicalizzazione di qualunque sintomo, allo sviluppo di questa psicologia da bazar che ci presentano come il meglio del meglio della conoscenza del soggetto. Avrebbe deriso l’onnipotenza della comunicazione mediatizzata a detrimento del sapere; avrebbe percepito l’inesorabile declino del discorso universitario per cui aveva in fondo un grande rispetto. Il livellamento del senso e la proliferazione della parvenza gli avrebbero fatto orrore, così come la sicurezza diventata per i nostri governanti un miserabile feticcio da agitare a oltranza. Come ha detto Élisabeth, Lacan mi sembra un antidoto vitale alla stupidità che ci affligge e ci invade quotidianamente».
Ma Lacan è anche un antidoto vitalissimo a quanti continuano ad aggredire la psicoanalisi, a descriverla come superata e inutile, a relegarla a mera perdita di tempo. Sia Badiou che Roudinesco concludono il dialogo con un appello a difendere questa disciplina dagli attacchi indiscriminati, tanto da invitare alla lotta: «Contrattaccare è necessario e urgente, quindi sì, bisogna proprio mobilitarsi per difendere la psicoanalisi. E lo potremo fare solo unendo le nostre forze ben oltre la cerchia degli psicoanalisti. Ognuno si deve sentire chiamato in causa: è una questione di civiltà».
Il merito del dialogo è soprattutto qui. Non è solo un'amabile conversazione sull’opera lacaniana, sul lascito lacaniano, sul genio lacaniano. È un gesto d’amore verso la psicoanalisi, che è sempre qualcosa di più dell’incontro di due anime. Di quel di più Lacan ci ha detto, ci dice e continuerà a dirci. Passato presente futuro.
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