Natalino Irti, il diritto e la filosofia
L'insigne giurista, attento lettore dei grandi filosofi, avverte: "I giuristi, che maneggiano nel lavoro quotidiano concetti come ‘storicità’ ‘ordine’ ‘effettività’, hanno urgente bisogno di filosofia. Ne va del rigore e chiarezza di pensiero intorno ai fondamenti". La lezione di Kelsen e Schmitt, l'opera di Croce, il dialogo con Severino, la Collana "Krisis" diretta con Cacciari
Sono andato ad ascoltare più il professore che l'avvocato, ma Natalino Irti, insigne giurista, mi ha accolto nello Studio di via Vesalio senza titoli, con la sobria eleganza di chi ama parlare dei libri, degli autori più cari, dei maestri capaci di lasciare un segno. In attesa di leggere Elogio del diritto, il terzo volume della nuova Collana "Krisis" che s'annuncia entusiasmante, diretta con Massimo Cacciari, per i tipi de La Nave di Teseo, ho voluto incontrarlo perché i primi due volumi, di Nicolás Gómez Dávila e di Michele Tamponi, sono perle rare, un bene prezioso per l'editoria in crisi di qualità, e meritavano la stretta di mano e l'inchino. Poi, dialogando piacevolmente, è venuta fuori l'idea dell'intervista. Le risposte sobrie ed efficaci sono la misura di un uomo attento, riflessivo, che nulla concede alla teatralità. Ricorda il passato ma vive il presente con la curiosità di scoprire cose nuove, o che tali sembrano, con la necessità di comprendere i grandi stravolgimenti della nostra epoca.
Com’è nata l’idea della Collana Krisis?
Da conversazioni con l’amico Massimo Cacciari, dal nostro ritrovarci nella convinzione che Krisis è insieme distruttrice e creatrice. Krisis non indica una malattia, ma un processo storico.
Qual è lo stato di salute del diritto nel nostro bistrattato Paese?
La dottrina giuridica italiana – mi riferisco, come è ovvio, a opere, per così dire, ‘giornaliere’ – ha andamento espositivo e divulgativo, teme e rifiuta la ‘spietatezza’ della logica.
Che cosa potremmo apprendere ancora oggi dalla lezione di Hans Kelsen e Carl Schmitt?
Grandi maestri: Kelsen, dell’unità logica, che si costruisce a grado a grado in un sistema di norme; Schmitt, della concreta e terrestre decisione, con cui gli uomini occupano lo spazio. Ma anche questa presa di possesso ha bisogno di norme.
E da quella di Giovanni Gentile?
Gentile è un classico del pensiero occidentale. Abissale è il suo concetto di atto puro.
Presiede l’Istituto italiano per gli Studi Storici. A oggi qual è la lettura più convincente su Benedetto Croce?
Sull’opera e la figura di Croce sono fondamentali le pagine di Gennaro Sasso. Alle quali aggiungerei scritti di Giuseppe Galasso e Fulvio Tessitore. Oltre quindici anni or sono, fui chiamato alla presidenza dello Istituto dalla simpatia di Maurizio Mattioli e dalla fiducia di Alda e Lidia Croce, le superstiti figlie del ‘senatore’. Ebbi la felice ventura di trovare direttore scientifico dell’Istituto un filosofo eminente, Gennaro Sasso, che è anche uomo di acuta e riservata sensibilità: intenso e proficuo fu il dialogo che dura ancor oggi. All’Istituto ho dato, forte della severità finanziaria di Roberto Giordano e della dedizione organizzativa di Marta Herling, un qualche contributo di idee e programmi. Da ultimo, nella conferenza lincea del maggio 2018 (poi edita per i tipi del Mulino), ho provato a tracciare un più sciolto indirizzo di studî, aperto alla tecno-economia e alle diverse forme dell’arte. È un cammino tutto da meditare e costruire.
Ha dialogato con Emanuele Severino su diritto e tecnica. A che punto è il dialogo?
Il dialogo con Severino, aperto in un incontro catanese del 2000 e poi fermato nel libriccino laterziano dell’anno successivo, ha segnato per me una presa di coscienza, quasi un affiorare di esigenze prima nascoste e insoddisfatte.
Che cosa abbiamo guadagnato e cosa perduto con il crollo delle ideologie?
Il ‘crollo’ o ‘declino’ delle ideologie fu decretato con frivola leggerezza. Oggi abbiamo necessità di pensiero politico, di disegni e prospettive, che segnino la direzione della vita comune. L’occasionalismo politico disorienta, diseduca, riduce la fiducia nel sistema rappresentativo. Il ‘verso dove’ è indispensabile.
Che cosa significa essere liberale?
‘Essere liberale’ oggi non è militare in un partito politico, o esprimere un certo voto, ma custodire, con interiore fedeltà, uno stile di vita e un’apertura della mente. È un problema di orizzonte.
È un attento lettore dei maestri del pensiero filosofico. Come giudica il rapporto tra filosofia e diritto?
È necessario che le premesse filosofiche, immanenti in ogni seria pagina di diritto, si rendano manifeste ed esplicite. I giuristi, che maneggiano nel lavoro quotidiano concetti come ‘storicità’ ‘ordine’ ‘effettività’ ecc., hanno urgente bisogno di filosofia. Ne va del rigore e chiarezza di pensiero intorno ai fondamenti.
Come può rispondere il diritto alla domanda sul nascere e sul morire?
Nascere e morire sono ormai al centro del dibattito giuridico. Non più nudi eventi della natura, lasciati al caso e al ‘destino’, ma prodotti della tecnica, dinanzi ai quali il diritto è chiamato a prendere posizione. E qui affiora la filosofia ‘implicita’ in ogni soluzione legislativa e questione giuridica.
Avezzano è soltanto la città dov’è venuto al mondo o qualcosa di più?
Avezzano, la cittadina abruzzese in cui sono nato, è la terra che custodisce le immagini e memorie più intime. È terra dell’amicizia, della resa interiore, ma pure del profondo silenzio e della dolorosa solitudine. Ne nasce come una gratitudine, una riconoscente devozione.
Qual è il segreto che ha appreso dalla lezione di Emilio Betti?
L’incontro con Betti, grande giurista e supremo teorico dell’interpretazione, ha segnato per sempre la mia vita. Si badi: non per protezione concorsuale e scientifica, che trovai in altri e generosi maestri, ma per la impronta nel pensare e argomentare, e per la lezione di libertà intellettuale. L’allievo ha il dovere, e non il semplice diritto, di rendersi autonomo, di percorrere nuove strade, di adottare altre prospettive e metodi di studio. Nell’esercizio di questa libertà risplende la grandezza del maestro.
È più doloroso staccarsi dall’Aula del Tribunale o da quella universitaria?
Non mi sono distaccato né dalle aule universitarie né dalle udienze giudiziarie. Ma vedo le une e le altre con distanza: che non è la distanza dell’età, ma appartenenza a una diversa generazione e fatica nel capire il nuovo. Fedeltà a se stessi e impegno del capire lo svolgersi dei tempi: ecco l’arduo equilibrio, che rifiuta così abbandoni della memoria come grotteschi giovanilismi.
Ha vissuto la posizione dell’allievo e quella del maestro. Qual è la più scomoda?
Il ‘maestro’ è un ‘allievo’, che consegna ai giovani ciò che ha ricevuto dal proprio ‘maestro’. Questa è, o forse era, la catena delle generazioni, capace di garantire insieme custodia del passato e apertura verso il domani.
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