Antonino Ferro, parole che curano
A colloquio con lo psicoanalista freudiano, che precisa: “Forse non a caso la psicoanalisi è stata chiamata ‘the talking cure’. Ingredienti imprescindibili di un buon analista sono una analisi personale sufficientemente profonda, un training adeguato, un continuo lavoro su sé stesso e una successiva messa a punto degli strumenti di cui dispone”
Che cos’è e a che cosa serve l’analisi?
L’analisi è un metodo di cura della sofferenza psichica, direi il più efficace e duraturo.
Perché tanti anni fa decise di affidarsi a un analista?
Esclusivamente per cercare di far fronte a una sofferenza psichica.
Come scelse i suoi analisti?
Facendo diversi colloqui e scartando quelli con cui non avevo sentito alcun feeling.
Che cosa occorre per fare un ottimo analista?
Quello di “ottimo analista” mi sembra un concetto molto idealizzante, mi accontenterei di analista “sufficientemente buono” – è già tanto! Aggiungerei che ingredienti imprescindibili di un buon analista sono una analisi personale sufficientemente profonda, un training adeguato, un continuo lavoro su sé stesso e una successiva messa a punto degli strumenti di cui dispone.
Le tante scuole in psicoanalisi aiutano o confondono?
Io credo che un multilinguismo psicoanalitico sicuramente aiuti ma che sia ugualmente importante strutturare una propria forte identità psicoanalitica. Non vi sono verità ultime in psicoanalisi, l’importante è lavorare bene con il proprio modello.
Perché ritiene Freud il più convincente dei maestri?
Non c’è dubbio che Freud sia stato “l’inventore” della psicoanalisi, portatore di un pensiero cosi fertile da consentire la nascita di nuovi e profondi sviluppi come quelli apportati da Melanie Klein, Winnicott e Bion e degli altri che sono in attesa di essere pensati.
Per James Hillman siamo chiamati a “fare anima”. Per lei?
Secondo me siamo chiamati a “fare sogno”.
Chi o che cosa decide quando termina l’analisi?
Le stesse due persone che hanno deciso di cominciarla.
Qual è la forma più grave di nevrosi che si trova frequentemente davanti?
Credo che non dovremo limitarci a pensare che la psicoanalisi possa “curare” solo le differenti forme nevrotiche ma anche essere di valido aiuto nelle sofferenze psicotiche, borderline o nelle perversioni. Ciò detto, credo che molte analisti si trovino a doversi confrontare con patologie borderline.
Curano di più le parole o i silenzi?
Forse non a caso la psicoanalisi è stata chiamata “the talking cure”.
Anche l’analista, come il padre, va ucciso o, se preferisce, oltrepassato?
Tutto ciò che è stantio prima o poi dev’essere oltrepassato, non certamente eliminato.
Come si lavora per far crollare le resistenze?
Non è sicuramente il mio scopo precipuo quello di fare crollare alcunché, piuttosto è quello di come creare un’atmosfera che consenta a paziente e analista un gioco costruttivo grazie all’atmosfera intrisa di capacita negativa e la rinuncia a verità già sapute in cui vi sia un detentore di una verità forte o di una sovereignty.
È più complicata la gestione del transfert o del controtransfert?
Sempre più si va diffondendo in diverse area geografiche (Nord America, Sud America, alcune nazioni europee) un concetto che lega insieme vita mentale di analista e paziente dando vita a una unica gruppalità in trasformazione detta “campo”, fenomeno già mirabilmente descritto da Pirandello nella sua opera incompiuta “I Giganti della Montagna” e anche qui Freud ci aveva azzeccato nel dire che gli scrittori spesso sono avanti agli psicoanalisti.
Per Freud, il sogno è la via regia per accedere all’inconscio. Se viene ben interpretato, aggiungerei. È possibile avere conferma di una buona interpretazione?
Dopo Freud sono successe molte cose, vi è a esempio un sogno della veglia che continuamente trasforma sensorialità in immagini e un sogno della notte che secondo Ogden andrebbe risognato da analista e paziente permettendo la trasformazione di ciò che era irrappresentabile.
Ha faticato di più a lavorare con il suo inconscio o con quello degli altri?
Sicuramente con il mio.
Il costo elevato di un lungo percorso analitico ha spinto molti a orientarsi verso le cosiddette analisi brevi, ma può esistere un’analisi breve?
Fortunato chi in casa non ha bisogno di ristrutturazioni totali ma soltanto di qualche piccolo intervento dell’idraulico o del muratore.
L’analisi è un cammino di libertà. Le piace questa definizione o è incompleta?
Mi piacerebbe di più dire che l’analisi è un cammino verso la creatività.
Qual è il rischio che si cela dietro l’angolo dell’analista?
Per esservi un analista credo vi debba essere anche un paziente e un setting. Il rischio in seduta è sempre di dare risposte precoci ed esaustive. Fuori dalla stanza d’analisi e senza setting e paziente, non vi è analista e quindi i rischi sono quelli di tutti.
Per Thomas Ogden ci vogliono due persone per pensare, ma sono davvero soltanto due le persone che si incontrano durante la seduta?
Ho già parlato di multi-gruppalità che prendono vita nel campo, quindi la stanza d’analisi è molto affollata di personaggi non necessariamente antropomorfi (i fantocci di Pirandello).
La sfera della sessualità è sempre al centro dell’analisi o c’è altro?
Credo che vi siano bisogni e aspetti molto più primitivi di cui tener conto tranne che intendiamo sessualità come relazionalità.
Il Foglio sportivo - in corpore sano