Eugenio Borgna, follia e poesia
“La follia che è anche in noi”, edito da Einaudi, è l’ultimo libro del noto psichiatra, che spiega: “Come hanno sempre fatto gli psichiatri di lingua tedesca, francese e olandese, capire qualcosa del dolore, dell’angoscia, della disperazione, richiede conoscenze di psichiatria ma anche di filosofia, di letteratura e di poesia: scienze umane che, alleate, sono indispensabili alla conoscenza e alla cura. La sola farmacologia può essere adeguata alle altre discipline mediche, ma in psichiatria il mistero della vita interiore oltrepassa ogni rigido criterio tecnologico. La follia è la sorella infelice della poesia”
“Il dolore è più vasto della neve che è sopra ogni cosa/ e che poi si corrompe e s’annera./ Ma il dolore resta sopra ogni cosa. Regna”. E ancora: “Forse non ti riconosco, voce, / perché in te non rinasco // ma mi dibatto e commuovo / per il balbettìo dei tuoi occhi // per l’intermittente lumìo / d’un disperato segnale // come da un corpo separato / ma vivo ancora… // e ti ascolto e ti ascolto / e verso te m’attiro // come una vocale / dentro una parola”.
Sono versi di Eugenio De Signoribus, il poeta di Cupra Marittima, il poeta che potrebbe stare dentro i libri di un altro Eugenio, che di cognome fa Borgna, insieme agli altri poeti, per dire del dolore, per dire della speranza, per dire di un’attrazione, come una vocale dentro una parola. Anche i libri di Borgna sono più vasti della neve che è sopra ogni cosa e sono destinati a restare sopra ogni cosa. Magari senza regnare, espressione di un potere che non appartiene all’autore. L’ho cercato in quel di Novara, prima che arrivi la nebbia e la neve, e l’ho trovato come sempre disposto a dire, a soccorrere, ad aiutare. E lo ascolto e lo ascolto sperando che anche voi possiate ascoltarlo. Ho posto domande e sono rimasto in attesa di risposte, di risposte che aprissero ulteriori domande. Borgna è uomo gentile, garbato, dotato di alta sensibilità, assiduo frequentatore della follia che è anche in noi, sorella infelice della poesia.
Che cosa vuol dire fare lo psichiatra?
Fare lo psichiatra o la psichiatra significa avventurarsi lungo un cammino che non si conosce e non si conoscerà mai, perché il suo oggetto è la vita interiore di una persona che sta male ed è la sola che conosce quello che sente e quello di cui ha bisogno. Ci sono psichiatri che non hanno attitudini a questa ricerca senza fine e non bastano i libri a ridare queste attitudini. Ci sono non psichiatri dotati invece di queste attitudini che restano sconosciute.
Qual è la forma più grave di malattia che ha avuto frequentemente davanti?
La forma più grave di sofferenza psichica che resta ancora oggi misteriosa e oscura nelle sue cause è la schizofrenia, che ho conosciuto nella sua angoscia e nella sua disperazione ma anche nella sua fragilità e nella sua umanità, negli anni che ho trascorso nel Manicomio di Novara, che mi hanno consentito di conoscere bene sintomatologia e terapia.
Come possiamo definire la schizofrenia?
Nella schizofrenia si vive in un altro mondo, in un mondo solcato da grandi e sconvolgenti emozioni, da esperienze allucinatorie, da esperienze deliranti e da questo vivere in un mondo che si chiude alle relazioni con gli altri generando quelle condizioni di radicale isolamento psicologico e umano che è l’autismo: questo vivere chiusi nel proprio io, anche se ricolmo di una nostalgia di relazioni e di accoglienza. Non c’è la schizofrenia, ma ci sono le schizofrenie che cambiano di situazione in situazione, di esperienza in esperienza e che hanno bisogno di farmaci certo, ma anche di comprensione e di solidarietà umana. Gli psicofarmaci non sono antibiotici, nel senso che la loro efficacia dipende anche dai contesti psicoterapeutici in cui i farmaci sono inseriti.
Curano di più le parole o i silenzi?
Silenzio e parole sono diastole e sistole della vita che si intrecciano e che si allontanano l’uno dall’altra, ma che si realizzano fino in fondo solo in una continua alternanza. Le parole sono creature viventi, sono misteriose, sono portatrici di speranza o di disperazione, di bene o di male, nella misura in cui si sappia adeguarle alle attese e alle speranze della persona a cui le rivolgiamo. Silenzi e parole sono così indispensabili e ci sono momenti in cui occorre tacere e altri in cui parlare, anche se non è facile intuire quali di queste due forme di vita possano essere di momento in momento necessarie o pericolose. Tenendo presenti le cose che ho detto prima, ogni terapia, anche quella farmacologica, in psichiatria non può fare a meno né di parole né di silenzi.
Qual è il suo giudizio sulla psicoanalisi e sul suo fondatore?
Sigmund Freud ha rivoluzionato il mondo di ciascuno di noi e non solo quello della conoscenza nella vita e in psichiatria. Le cose che ha scritto sono di una straordinaria attualità, non hanno perduto nulla della loro importanza al fine di seguire il cammino misterioso che porta nell’abisso della nostra interiorità. Senza le sue rivoluzionarie intuizioni nulla si sarebbe capito dei significati che si nascondono nei sogni, nei lapsus e nelle loro diverse estensioni nella vita. L’essere psichiatra, grande psichiatria, gli ha consentito di conoscere bene i confini della conoscenza in psicoanalisi, che si ferma davanti agli enigmi della follia.
Perché i suoi libri sono sempre intrisi di filosofia, letteratura e poesia?
Come hanno sempre fatto gli psichiatri di lingua tedesca, francese e olandese, capire qualcosa del dolore, dell’angoscia, della disperazione, richiede conoscenze di psichiatria ma anche di filosofia, di letteratura e di poesia: scienze umane che, alleate, sono indispensabili alla conoscenza e alla cura. La sola farmacologia può essere adeguata alle altre discipline mediche, ma in psichiatria il mistero della vita interiore oltrepassa ogni rigido criterio tecnologico.
Che cosa ha capito Friedrich Nietzsche prima di ogni altro?
Nietzsche ha capito tantissime cose lungo un sentiero sconfinato che è stato anche quello di Leopardi. L’importanza delle passioni che, solo se accompagnano la ragione, consentono a questa di avvicinarsi agli enigmi della vita. Nietzsche ha portato alla luce della conoscenza esperienze interiori che prima di lui sprofondavano nella disattenzione e nella ignoranza. Su ogni problema della vita e in particolare sulla sofferenza, Nietzsche ha saputo dire parole bellissime e strazianti, umanizzandole. La sua apparente ferocia non è che la apparente nostalgia della gentilezza e della umanità.
Aldo Masullo, 96 anni, ha dichiarato che si avvia verso la morte con una grande amarezza: non essere riuscito a capire fino in fondo chi è Aldo Masullo. Lei ha capito chi è Eugenio Borgna?
Come è possibile conoscersi fino in fondo? La domanda che lei ha fatto a me la potrei fare anche a lei. Non so con certezza chi sia Eugenio Borgna, così come non penso lo sappia lei di Davide D’Alessandro. Gli specchi rimandano immagini parziali e deformati dei nostri volti, ma non ci sono specchi che rimandano le immagini delle nostre emozioni, delle nostre passioni, di quello che noi siamo nel nostro mistero. Non sono gli anni che consentono a lei e a me di conoscere davvero qualcosa di quello che noi siamo, di quello che noi temiamo e che speriamo, anche perché sono in divenire continuo e di anno in anno cambia l’immagine che ciascuno di noi ha di sé stesso. La vicinanza del morire, non è questa che amplia i confini della conoscenza delfica della nostra più profonda natura che si rivela forse alle persone semplici e gentili.
Che cos’è il dolore?
Il dolore può essere il dolore del corpo e dell’anima. Il dolore del corpo lo sappiamo tutti descrivere sia pure con parole che cambiano sulla scia delle nostre capacità di analizzarsi e soprattutto di esprimere quello che proviamo. Il dolore può anche essere indicibile quando sia sconvolgente e ci tolga la stessa possibilità di parlare. Il dolore del corpo oggi trova in ogni caso terapie che riescono a moderarlo sempre o quasi sempre a cancellarlo. Molto più complicato il dolore dell’anima che apparentemente è così friabile e così fragile da non reggere il confronto col dolore del corpo, ma che invece al di là delle sue apparenze può non finire mai e può condurre anche alla nostalgia e alla ricerca della morte. Le terapie che cancellano il dolore del corpo non sono in grado di cancellare le sofferenze dell’anima, che sfidano parole e farmaci. Il dolore dell’anima ci confronta con gli abissi , cosa che con questa profondità non avviene nelle malattie del corpo.
Noi siamo un colloquio, ma come si colloquia con un uomo profondamente malato?
Noi siamo un colloquio: lo diceva Hölderlin che è sprofondato, come lei sa, nelle voragini di una malattia dell’animo ai suoi tempi incurabile, ma che oggi si sarebbe potuta arginare. Il colloquio è la sola strada che ci consente di alleggerire la solitudine in cui ciascuno di noi sprofonda quando la malattia, la sventura, la infelicità scendono su di noi. Le parole di un colloquio ciascuno di noi le trova indipendentemente dalla sua cultura e dalle conoscenze tecniche, quando si è capaci di intuizioni che ci fanno trovare ponti di comunicazione con chi è malato. Conosco infermieri che sanno trovare queste parole e psichiatri che non le troveranno mai.
Che cosa le ha insegnato Simone Weil?
Weil mi ha insegnato tante cose: il coraggio, la resistenza al male, la solidarietà, la responsabilità, la grazia, la passione della speranza e l’esigenza di essere aperti alle gioie ma anche al dolore della vita.
E Friedrich Hölderlin?
Hölderlin mi ha insegnato a guardare alla follia, anche quando più lacerante, come a una esperienza che nasce dalla sensibilità e dall’ascolto di quelle che sono le attese degli altri, ma soprattutto che saggezza e follia sconfinano l’una nell’altra e che la follia è la sorella infelice della poesia.
E Antonia Pozzi?
Pozzi mi ha insegnato a tenere sempre presente l’enorme importanza che le relazioni umane hanno nel mantenerci in vita o farci precipitare nella disperazione, che ci conduce a riconoscere l’ultima speranza nella morte.
Che cosa saremmo senza l’angoscia?
Santa Teresa d’Avila ha scritto che coloro che Dio aiuta, li conduce per i sentieri dell’angoscia e senza questa sconvolgente emozione non comprendiamo molto di quello che gli altri pensano e temono.
Lei è affascinato da mistiche laiche e religiose. Ma chi è una mistica?
Essere sfiorati o animati da esperienze mistiche significa cogliere l’invisibile che c’è nel visibile, l’indicibile che c’è nel dicibile e nell’avvicinarsi al mistero che circonda la nostra vita. Questo è un pensiero di Dietrich Bonhoeffer, uno dei grandi teologi luterani che ha scritto cose straordinarie sulla vita e sulla morte.
“Tu chiamale se vuoi, emozioni” cantava Lucio Battisti. Che cosa rappresentano, per l’uomo, le emozioni?
Come ha scritto Leopardi, solo se la ragione si converte in emozione ci fa conoscere gli aspetti essenziali della vita e ci mette in relazione con gli altri.
La nostalgia è sempre una ferita?
La nostalgia non sempre è ferita, ma se non lo è rischiamo di essere prigionieri della idolatria del passato che non si converte in speranza.
La depressione è un incontro con…
La depressione è un incontro con il dolore, con la sofferenza, con la disperazione, ma anche con le speranze che sono in noi. Dalla depressione si esce talora con i farmaci, ma sempre con un dialogo che diventi un ponte fra noi e gli altri.
Dio l’ha più pensato o invocato?
Come ha scritto Pascal, non possiamo avvicinarci a Dio con il pensiero ma riusciamo a farlo solo con la grazia della intuizione, che si nutre delle ragioni del cuore.
Che cos’è la morte? Un signore mi ha risposto: “Quando la conoscerò, glielo dirò”. È una buona risposta o possiamo dirne qualcosa in anticipo?
Solo la speranza ci dice della morte qualcosa che la oltrepassa della sua presenza e le apre le porte di un futuro che continua.
Il Foglio sportivo - in corpore sano