Discorsi su Machiavelli, post res perditas
Nell’ultimo libro di Antonio De Simone, attraverso undici lezioni, il pensiero del Segretario fiorentino riemerge in tutta la sua grandezza. Un libro che serve a ridare a Machiavelli ciò che è di Machiavelli e agli studiosi, quelli veri, la possibilità di onorarlo, di farlo parlare agli antichi e ai contemporanei perché il classico non ha età, non smette di dire, di suggerire, di indicare. Da Machiavelli a Machiavelli, perché non c’è storia: da lui si parte, a lui si arriva, da lui si riparte, a lui si ritorna
Corposo e sontuoso. È il nuovo libro che Antonio De Simone, professore di Storia della filosofia e Filosofia della cultura all’Università di Urbino, dedica a Niccolò Machiavelli. Non è il primo e non sarà l’ultimo, se è vero che il Segretario fiorentino sembra essersi incarnato nel docente leccese, avendo quest’ultimo ingaggiato da decenni un vero corpo a corpo con un’opera infinita, che non ammette pause, soste o ristori. Così come non ci sono state pause per me nei due giorni di lettura attiva e compulsiva delle 526 pagine di Post res perditas. Discorsi su Machiavelli. Lezioni Urbinati. Le diffrazioni del classico nel contemporaneo, edito da Morlacchi. Undici lezioni, dal marchio del classico al Machiavelli tra passato e presente, dall’enigma Machiavelli al conflitto sull’ontologia dell’umano, dalla maschera (menzogna vitale) all’antropologia delle passioni, dallo scandalo della verità effettuale agli animali politici (Machiavelli e Hobbes), dai confronti con lo stesso Hobbes e Vico al conoscere discosto tra cultura, filosofia e politica, dall’umanesimo tragico al rinascimento machiavelliano, al destino italiano. Da Machiavelli a Machiavelli, perché non c’è storia: da lui si parte, a lui si arriva, da lui si riparte, a lui si ritorna. La ragione politica nel teatro del potere ha il suo unico protagonista.
De Simone lo racconta e lo fa raccontare, si serve di una bibliografia sterminata, riattraversa e oltrepassa tutti i suoi grandi interpreti, a qualcuno fa dire tanto, a qualcuno meno, a tutti il necessario. Analizzare l’opera di Machiavelli vuol dire entrare nei suoi meandri più cupi, nel suo realismo asciutto, penetrarne l’essenza, tenerne a mente la grandezza senza sciuparla. Già, poiché c’è un rischio nell’accostare l’opera del Segretario fiorentino: sciuparla. Per leggerezza, per superficialità, per abitudine, persino per stanchezza. Complici i 500 anni dalla stesura del Principe, che sono caduti qualche anno fa, complici i 500 anni dalla morte, che cadono nel 2027, sembra che Machiavelli sia dappertutto, che possa essere citato dappertutto, che possa finire nel letto o sulle scrivanie di chiunque. Non è così. Machiavelli si presta alla citazione fulminante, si presta, ah come si presta!, al fraintendimento consapevole o meno, all’uso banale che ne fanno politicanti di ogni risma, di ogni ordine e grado, che continuano a citarlo senza leggerlo, a usarlo senza rispettarlo, ma il libro di De Simone aiuta a rimettere le cose a posto; a ridare a Machiavelli ciò che è di Machiavelli e agli studiosi, quelli veri, la possibilità di onorarlo, di farlo parlare agli antichi e ai contemporanei perché il classico non ha età, non smette di dire, di suggerire, di indicare. I tempi sono radicalmente cambiati, certo, le realtà economiche, culturali e sociali sono tremendamente diverse, ma l’uomo non sembra mutato, la sua radice è quella che è e nessuno l’ha compresa meglio di Machiavelli.
Se l’esergo posto in capo al libro (Da un tempo in qua io non dico mai quello che io credo, né credo mai quel che io dico) riassume la potenza di un pensiero vivido e bruciante, le pagine di De Simone accompagnano il lettore non alla rovina, come l’amore per il Principe, ma alla scoperta o alla riscoperta di un tesoro prezioso, tradotto e pubblicato in tutto il mondo, eppure non ancora restituito appieno, forse perché raggiungere Machiavelli nella sua intima essenza non è dato a chi Machiavelli non è. Ci resta quel sapore amaro, dopo ogni lettura, quel qualcosa che continua a sfuggirci, a scapparci dalla mente e dalle mani. Ci resta un classico da leggere e da rileggere, da continuare ad amare o a detestare, ci restano occasioni, altre occasioni, finché siamo in vita, per tentare di coglierlo appieno. L’opera vale ogni possibile sforzo. Chissà se mai conquisteremo la meta!
Intanto tocca a De Simone ricordarci che “nella commedia della politica, il potere, le forme di governo, nel palcoscenico della storia, si danno e si trasformano, ascendono e declinano nelle contingenze della vita, al pari dei potenti che hanno bevuto ineluttabilmente il “succo di mandragola”. Il “destino” dei classici, invece, è quello di “resistere” anche nel contemporaneo. Questa è la loro bellezza e la loro utilità: la loro persistenza e presenza”. La loro grandezza.
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