Eugenio Borgna, la saggezza che salva
Nell’ultimo libro dello psichiatra piemontese l’invito a riconsiderare una parola controtempo, che sembra antiquata. È l’occasione, con l’aiuto di filosofi e poeti, per sostare davanti a ciò che conta, per fermare la macchina dell’indifferenza e riscoprire i valori del sacrificio e dell’umana solidarietà
Quante volte mi sono chiesto, nel corso degli anni, leggendo e rileggendo i libri di Eugenio Borgna, dove risiedesse la sua grandezza? Tante volte. Oggi so persino rispondere: nell’attenzione. Borgna è un uomo attento, a sé e agli altri, dunque completo, dunque saggio. Non è giusto (ma è saggio) che egli ne abbia incertezze, come lascia trasparire nel finale di Saggezza, edito da il Mulino. Egli è saggio perché mostra di conoscere in profondità il dolore e la gioia, il riso e il pianto, la ragione e la passione, la parola e il silenzio, lo sguardo e la voce, l’emozione e l’indifferenza, la gentilezza e l’ascolto, perché ha affinato per decenni un’invidiabile capacità d’introspezione.
Saggezza, verrebbe da dire, questa sconosciuta, oppure parola giudicata dimenticata, superata, antiquata, controtempo (come recita la Collana dell’editore bolognese) da chi ha cuore soltanto per il godimento immediato, magari effimero, per il massimo guadagno con il minimo sforzo, per chi ha fretta, per chi mangia il tempo, per chi corre incessantemente senza sapere dove; per chi è sciocco, per chi non osa rivolgere gli occhi all’interno, per chi è sempre pronto a puntare l’indice contro l’altro e mai contro sé stesso, per chi non pensa di calarsi nei propri abissi per andare a vedere l’unica cosa che conta vedere: chi sei, chi sono, chi siamo.
Non c’è respiro, non c’è vita, senza l’altro. Non c’è possibilità di scoprire la saggezza, di frequentarla, di assumerla senza l’aiuto di chi l’ha meditata, di chi ha saputo scorticare la propria anima, di chi ha patito sulle proprie miserie e debolezze, su chi ha scoperto l’altro riducendo, non indebolendo, sé stesso. Borgna si affida alle parole dei poeti e dei filosofi, dei letterati e dei pensatori, alle parole creature viventi, poiché esistono anche parole che creano morte, che spargono morte, che la disseminano ovunque vi siano flebili luci ancora accese. Allora, ecco una definizione di Abbagnano, una riflessione di sant’Agostino, un pensiero di Bonhoeffer, un richiamo di Guardini, un verso di Hölderlin, una prosa di Leopardi, una toccata geniale di Canetti, un invito di Montaigne, un pugno di Nietzsche, una poesia di Rilke, una dolcezza di Weil, una confessione di Kafka, un’immagine eterea di Hillesum. È un sapere che sa di non sapere, è un sapere che ci soccorre quanto tutto intorno a noi sembra essere finito, è un sapere che lenisce perché disinteressato alla futilità, un sapere che punta in alto, che ascende pur restando agganciato alla vita pratica.
Che belle le pagine che si nutrono di Schopenhauer, del positivo che emanano, e quelle di Antigone, della sua fibra morale, dove risuona la domanda angosciante: ma la sua è follia o saggezza? La misura, e la saggezza, di Borgna aiutano a comprendere, restando sempre a un passo dalla verità, poiché quest’uomo di 89 anni, attento, completo e saggio, non si stanca mai di ricordare che non la possiede, che la fragilità lo abita e ci abita, e che il modo migliore di accostarsi agli altri e alla vita è riconoscere che dicibile e indicibile, visibile e invisibile sono inestricabilmente legati: “Potrei dire che, se si vuole e se ci si impegna, è più facile essere prudenti, e divenire sapienti, che non essere saggi. Non basta volerlo per essere, o divenire, saggi. Il cammino verso la saggezza è un cammino frastagliato e faticoso, che ha come premessa tante cose: conoscersi, conoscere le emozioni che sono in noi, essere inclini ad ascoltare, prestando loro attenzione, le persone che il destino ci fa incontrare, essere fedeli agli ideali di giustizia, voler essere saggi. Cose che talora non bastano a farci agire saggiamente, perché la saggezza è conoscenza razionale delle cose, ma nelle sue scelte ultime è intuizione e immaginazione, amore del prossimo: a questo ci si educa, ci si può educare, certo, ma con grande impegno e talora grande fatica; e nondimeno non sempre anche volendolo, si riesce a essere mediatori di saggezza”.
Al manicomio femminile di Novara hanno conosciuto la saggezza. L’hanno incontrata nello studio del professore e in corsia, nelle stanze del dolore e della schizofrenia. Poi, un giorno, quest’uomo, ancor prima che psichiatra, grazie all’insistenza di Umberto Galimberti, ha iniziato a scrivere. Da quel giorno la saggezza è finita sulle pagine e l’abbiamo potuta incontrare e riconoscere anche noi. Ora mettiamoci in cammino per conquistarla. Non è facile, ma ne vale la pena.
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