Il lessico amoroso, tra psicoanalisi e televisione
Arriva in libreria, edito da “il melangolo”, un lavoro curato da Mariela Castrillejo e Simone Regazzoni con un’intervista inedita a Massimo Recalcati, protagonista della famosa trasmissione. Psicoanalisti, filosofi e giornalisti cercano di comprendere che cosa è avvenuto davanti a quella scatola magica, perché milioni di persone si sono lasciati toccare da una parola nuova, da una parola che ha segnato fedeltà alla vita, non alla morte
Circolano le idee grazie a Massimo Recalcati, il noto psicoanalista lacaniano che, pur tra alcuni difetti evidenziati da critici severi, ha tanti pregi e uno su tutti: fa dibattito, alimenta la discussione, consente alla psicoanalisi di accostare la gente, perché è la gente che sta male, è la gente che chiede amore. Ancora, ancora. Ed è stata la gente, a milioni, a mettersi davanti allo schermo per seguire Lessico famigliare e Lessico amoroso, in attesa di Lessico civile, che chiuderà la serie.
È serio chi fa una serie, poiché è capace di elaborare un progetto e di realizzarlo assolvendo al compito con impegno, tenendo fede alla parola che si è dato, alla parola che dà. Il successo di Lessico amoroso viene ora raccontato in un libro, Psicoanalisi e televisione. Il Lessico amoroso di Massimo Recalcati, edito da “il melangolo”, curato con evidente passione da Mariela Castrillejo e Simone Regazzoni, un libro che ospita interventi e approfondimenti di psicoanalisti, filosofi e giornalisti miranti a comprendere che cosa è avvenuto davanti a quella scatola magica.
È avvenuto che un uomo, professionista di valore, autore di uno scandaglio meticoloso e innovativo dell’opera di Jacques Lacan, abile comunicatore, abbia saputo toccare le corde di chi era intento ad ascoltare. Quelle corde erano in attesa, forse da troppi anni, di vibrare per dare vita, chissà, a un lamento, a una melodia rigenerante, a un canto antico e ripetitivo. In realtà, vibrando hanno dato vita a una ripartenza. Se l’analisi, per lo psicoanalista francese, è una possibilità per ripartire, quelle lezioni, per Recalcati, sono state la possibilità per entrare in sintonia con un pubblico avvolto e soffocato dal grande vuoto, con un pubblico desideroso di …desiderare, ancora…ancora, e di ricevere finalmente una risposta credibile a quel desiderio.
Recalcati, intervistato dai due curatori, precisa: “Resto sempre molto colpito quando qualcuno o anche coppie che hanno visto Lessico famigliare o Lessico amoroso mi scrivono e mi raccontano, magari fermandomi dopo un incontro pubblico, che la loro vita è stata soccorsa, aiutata, anche trasformata dall’ascolto o dalla lettura della mia parola. Mi impressiona”.
Non è stata la parola di guru, non è stata una parola banale. È stata la parola di chi, senza alcuna intenzione di portare la sacralità della seduta analitica dentro lo schermo, ma senza cedere sulla forma e sulla sostanza, senza prestarsi scioccamente al complesso dispositivo televisivo, ha sollecitato la riflessione sulla promessa, sul desiderio, sui figli, sul tradimento, sul perdono, sulla violenza, sulla separazione, sette parole che, per l’insegnante Luca Malgioglio, “fotografano dinamiche e momenti diversi dell’amore, che mostrano il proposito di offrire allo spettatore una visione completa, che non vuole fermarsi alla superficie, che non ignora le impossibilità dell’amore, le sue derive meno augurabili e che, tuttavia, non vuole nemmeno rinunciare ad avere fede nella possibilità che esistano legami duraturi, in grado di rifuggire, ad esempio, dall’attrazione libertina per il nuovo a tutti i costi”.
Così, tocca a Romano Màdera spiegare che cosa vuol dire oggi apparire o non apparire, ad Antonio Dipollina perché Lessico amoroso è stata l’isola più raffinata dei palinsesti televisivi, a Simone Regazzoni il discorso di Recalcati, a Maurizio Porro il rapporto tra televisione e psicoanalisi, a Maria Barbuto l’eredità del sentimento della vita. Ecco, la vita. Nell’epoca delle passioni tristi, dell’indifferenza, del cinismo, del nichilismo, la parola di Recalcati ha segnato fedeltà alla vita: “La gente mi ascolta perché chi gli parla non è un prete, non è un consolatore di anime, non ha finalità persuasive, educative. Piuttosto chi gli parla è qualcuno che mette quotidianamente le mani in pasta nel dolore dell’esistenza. Fa questo di mestiere. Conosce da vicino il peggio, l’orrore, la dimensione ‘umana, troppo umana’ dell’esistenza. Eppure la sua parola non si arrende al nichilismo, non scade nel giudizio cinico e disincantato, non accetta di conformarsi né allo scetticismo apatico del nostro tempo, né al suo arido scientismo. Piuttosto trovano – provo a immaginare – in questa parola una testimonianza dello splendore del mondo che non vuole coprire la sua atrocità ma sorge dalla sua atrocità. Dunque non una nuova pastorale moralistica e paternalistica. Piuttosto una parola che insiste sul carattere affermativo della vita nel negativo della vita. Una parola, insomma, che non accetta che l’ultima parola sulla vita sia quella della morte e della distruzione”.
In tanti si sono chiesti quanto abbia perso la psicoanalisi durante le trasmissioni di Recalcati. Nulla. Avrebbe perso se l’analista, smessa la funzione che incarna nel setting, fosse andato davanti alle telecamere a fare il pagliaccio per vendere l’ennesimo prodotto di casa. Niente di tutto questo. Anzi, se la psicoanalisi presenta quel volto, se dentro la stanza d’analisi incontra quel volto e quella parola non invadente, la gente si può fidare e affidare, può continuare a stendersi sul lettino con rinnovata fiducia. Quella gente che ha potuto ascoltare, apprezzare e, soprattutto, lasciarsi toccare. Quella gente che si è sentita coinvolta, come si sono sentiti coinvolti durante il bacio, riparando a causa della pioggia in un sottopassaggio di Central Park, Gena Rowlands e Gene Hackman, i due amanti protagonisti di Un’altra donna, il sublime film di Woody Allen. Del resto, si parlava o no di baci e d’amore?
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