Wislawa Szymborska, tutto di straordinario
Leggere il libro di Michal Rusinek, su sollecitazione di Giampiero Mughini, è una gioia per l’anima. In “Nulla di ordinario” c’è la straordinarietà di una donna e di un’opera raccontata da chi è stato al suo fianco per oltre quindici anni, al servizio dell’umorismo e della serietà
C’è che a un certo punto scegli un libro da leggere e non sai neppure perché. C’è che conosci le poesie di Wislawa Szymborska ma cosa può interessarti di un libro del suo segretario, un giovane che per una quindicina di anni le è stato accanto? Certo, lei ha vinto il Nobel ma non è lei che scrive, non sono parole sue e, soprattutto, non sono poesie. Via. Richiudo, metto a posto e passo oltre. Torno a casa, mi metto comodo e noto una versione di Giampiero Mughini su Dagospia: “A un certo punto ho scelto un libro da leggere durante il viaggio sul treno che mi avrebbe ricondotto a Roma. Ho scelto il libro (appena pubblicato da Adelphi) in cui Michal Rusinek, il segretario personale della poetessa polacca e premio Nobel Wislawa Szymborska, racconta gli anni passati accanto alla scrittrice (era nata nel 1923, è morta a Cracovia nel 2012). Di solito non vengo particolarmente attirato da chi ha vinto il premio Nobel per la letteratura, un premio che non è stato assegnato a Philip Roth e che ha dunque ai miei occhi qualcosa di sconcertante. Ma pur non essendo un gran lettore di poesia, lo vedi a dieci chilometri che razza di poeta originale e modernissima è la Szymborska. Sul treno ho cominciato a leggere. Una delizia, una delizia il libro, una delizia il personaggio, una delizia la sua discrezione e la sua autoironia in ogni momento della sua vita e della sua giornata e di cui Rusinek è il testimone oculare momento per momento”.
Be’, le cose cambiamo; non perché l’abbia ordinato il medico, ma perché Mughini di libri un po’ s’intende, perbacco, li cerca, li scova, li annusa, li tocca, ci farebbe all’amore se potesse. Torno indietro e lo compro. Divorato in una mezza sera e in una mezza notte. E ora ne scrivo per dire che a volte, per mero pregiudizio, per sciatteria, per mancanza di illuminazione intellettuale, siamo capaci di lasciare tesori per strada o a dormire sugli scaffali impolverati delle nostre amate librerie. E non è vero che non c’è la sua poesia. A pagina 126 ve n’è una, di leggerezza infinita, Epitaffio, pubblicata la prima volta nel 1958:
Qui giace come virgola antiquata
l’autrice di qualche poesia. La terra l’ha degnata
dell’eterno riposo, sebbene la defunta
dai gruppi letterari stesse ben distante.
E anche sulla tomba di meglio non c’è niente
di queste poche rime, d’un gufo e la bardana.
Estrai dalla borsa il tuo personale, passante,
e sulla sorte di Szymborska medita un istante.
Scrive Rusinek: “Dopo la morte di WS più di una persona chiese se non dovessimo farlo incidere sulla sua tomba, se allora non lo avesse scritto per sé. Vengono in mente di nuovo Platone e Aristotele: non è infatti un testo d’uso. Eppure già diverse volte qualcuno ha deposto sulla sua tomba un foglio con questa poesia, ricopiata a mano. In qualche caso addirittura in una cartellina di plastica trasparente, perché la pioggia non la bagnasse”. I lettori raffinati, sulla vita, la morte e la sorte di questa finissima poetessa, hanno meditato più di un istante. Quando l’hanno scoperta, quando l’hanno letta avidamente, quando l’hanno ascoltata. Sempre ironica, giusta, mai banale. Continua il suo segretario: “Aveva uno straordinario senso dell’umorismo, ma sempre in confezione combinata con la serietà. Una metafora troppo commerciale; è meglio dire che serietà e umorismo erano per lei due facce della stessa medaglia. L’errore di chi ha scritto di lei consiste nell’averne raccontata solo una faccia, per lo più quella che ha a che fare col divertimento, naturalmente. Cosa che a lei andava persino bene, perché dietro il velo dell’ironia, dell’aneddoto, della barzelletta è più facile nascondersi”.
Più difficile è nascondersi dietro le lacrime, dietro il dolore. Come quel giorno che fu invitata in municipio per incontrare bambini affetti da grave disabilità. Racconta Rusinek: “Ricordo un ragazzino che voleva dirle qualcosa ma poteva comunicare solo indicando delle immagini in uno speciale libro. Aveva accanto la sua tutrice, che traduceva all’impronta alla signora Wislawa quello che diceva, o meglio mostrava. Durò un istante. Ebbi l’impressione che fosse uno degli istanti più difficili della sua vita, almeno tra quelli di cui sono stato testimone. Cercò di conservare la cortesia, la benevolenza, il calore, il sorriso, il distacco – ma era allo stremo delle forze. Mi guardò, ero lì accanto a lei. Fu l’unica volta in cui vidi nei suoi occhi le lacrime. Più o meno nello stesso periodo dev’essere stata scritta La cortesia dei non vedenti”.
Il poeta legge le poesie ai non vedenti.
Non pensava fosse così difficile.
Gli trema la voce.
Gli tremano le mani.
Sente che ogni frase
è qui messa alla prova dell’oscurità.
Dovrà cavarsela da sola,
senza luci e colori.
Un’avventura rischiosa
per le stelle dei suoi versi,
e l’aurora, l’arcobaleno, le nuvole, i neon, la luna,
per il pesce finora così argenteo sotto il pelo dell’acqua,
e per lo sparviero, così alto e silenzioso nel cielo.
Legge – perché ormai è troppo tardi per non farlo -
del ragazzo con la giubba gialla in un prato verde,
dei tetti rossi, che puoi contare, nella valle,
dei numeri mobili sulle maglie dei giocatori
e della sconosciuta nuda sulla porta schiusa.
Vorrebbe tacere – benché sia impossibile -
di tutti quei santi sulla volta della cattedrale,
di quel gesto d’addio al finestrino del treno,
di quella lente del microscopio e del guizzo di luce dell’anello
e degli schermi e degli specchi e dell’album dei ritratti.
Ma grande è la cortesia dei non vedenti,
grande la comprensione e la generosità.
Ascoltano, sorridono e applaudono.
Uno di loro persino si avvicina
con il libro aperto alla rovescia,
chiedendo un autografo che non vedrà.
Non è meravigliosa? Leggerla qui, dentro il libro di Rusinek, è ancora più toccante e struggente che leggerla dentro il libro della Szymborska. Eppure, senza la sollecitazione di Mughini, avrei perso questo libro e questa emozione.
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