Giampiero Mughini, Uffa, i libri e poco altro
Edito da Marsilio, il noto giornalista e scrittore torna in libreria ripercorrendo un anno vissuto con “Il Foglio”, freneticamente e febbrilmente
Metti un pranzetto in un ristorantino dalle parti di Trastevere. Giampiero Mughini mi tende una copia del suo ultimo libro. Gli dico che se gli chiedessi cosa resta alla fine della vita, di questa mirabolante e tragicomica commedia umana, mi risponderebbe senza esitazione: i libri e poco altro. Infatti, spalanca gli occhi, li fa roteare, alza le mani ed esclama: “Assolutamente sì! I libri e poco altro”. Il poco altro sta anche dentro Uffa. Cartoline amare da un tempo in cui accadde di tutto, edito da Marsilio, che fa libri irregolari dunque intelligenti, libri che hanno sapore, che non stancano, che stimolano l’appetito per altri libri.
Il tempo in cui accadde di tutto va da luglio 2005 a luglio 2006, un tempo vissuto freneticamente e febbrilmente, il tempo della guerra in Irak e di Giorgio Napolitano, il tempo di Berlusconi e Prodi, di Kate Moss e Pamela Anderson, di Moggi e Bonolis, di Briatore e Gregoraci, del magico Mondiale di Germania, del Festival di Sanremo e della Juventus sempre. Il tempo in cui Giuliano Ferrara propone a Mughini di scrivere cinque volte alla settimana sul Foglio, “il quotidiano che lui aveva fondato e diretto dal 1996, poche righe scottanti sull’uno o sull’altro argomento d’attualità e me ne diede il titolo Uffa”. Aggiunge l'autore: "Quella rubrica è stato uno dei lavori più felici della mia non breve avventura professionale nel giornalismo cartaceo. Cominciavo la giornata passando al rastrello eventi e protagonisti sui cinque o sei quotidiani che leggo ogni mattina. Per mia fortuna era già allora estesissima la saga dell'imbecillità sì da alimentarne i polpastrelli che pigiassero sui tasti del computer. E poi c'è che il destino mi diede in sorte uomini e fatti di un anno eccezionale. Che cosa non accadde in quell'anno straripante e decisivo nel modellare la topografia del tempo in cui stiamo vivendo".
Se uffa è voce di origine onomatopeica che intende riprodurre il suono del fiato durante l'azione dello sbuffare, per Mughini diventa occasione per esprimere la sua visione del mondo, una visione un tantino inattuale, ma ancorata alla sostanza vera della vita. Attualità inattuale, per Mughini, è anche una commovente pagina su Camus, un ricordo di Paolo Sylos-Labini, un non possiamo non dirci longanesiani, un passo sul Pasolini vero e su quello di stucco, un atto di giustizia verso Severino Citaristi, il fedele contabile democristiano “morto a ottantacinque anni dopo aver patito per un decennio un’ingiustizia idiota e bestiale”, sulla cui tomba Mughini, se abitasse a Bergamo o dalle sue parti, porterebbe senz’altro un fiore. Ha la vena giusta, Giampiero, per vivere nel mondo senza farne parte, per essere di tutti e di nessuno, per mantenere una vicina lontananza da ciò che quotidianamente ci affligge. È il segreto di un uomo capace di guardarsi allo specchio senza vergognarsi, di preferire una cenetta in quattro al duello televisivo Berlusconi-Prodi, di iniziare la mattina aprendo un libro, di approdare al sonno notturno chiudendone un altro, di sapersi considerare giovane e vecchio insieme, di guadagnarsi il pane con lo stesso ardore di quando nel 1969 lasciò la Sicilia con seimila lire in tasca e nessun cannolo nella valigia. Dentro c’erano alcuni numeri di “Giovane Critica”, la Rivista che aveva fieramente fondato nel 1963, e se penso ad alcune pagine vergate da Luciano Cafagna, pagine che non smetto di rileggere, penso al meglio che possa fluire nel cervello di un intellettuale.
Sbuffando, Mughini spiega anche quanto sia difficile fare e vendere libri con oltre dieci anni di anticipo sulle chiusure delle librerie, che "fioccano come nespole", direbbe il suo amico Aldo Biscardi: 2.300 dal 2014. Non era chiusa, per fortuna, la libreria dove i miei occhi incrociarono la copertina di Compagni, addio. Era il 1987 e l’attacco: “Firma notaio, firma. Lo voglio mettere per iscritto questo addio, questo gesto solenne e che vuole essere senza ritorno, questo addio a vent’anni di furori…” divenne il mio rosario da snocciolare prima di cominciare una qualsiasi scrittura, a ricordarmi che l’inizio, dio quanto è importante l’inizio.
L’anno scorso, poco prima dell’uscita di Memorie di un rinnegato, mi disse che sarebbe stato il suo ultimo libro. Dopo Uffa ne arriverà un altro, poi un altro ancora. Chi sa scrivere, difficilmente sa fare altro. Tranne che leggere. In Uffa scrive breve breve, “scrivere breve breve è infinitamente più efficace, ma anche infinitamente più difficile”. Sempre incisivo, mai banale. La cultura, sapete, non volta le spalle a chi la rispetta, a chi la onora. Il pranzetto è finito. Giampiero mi accompagna alla fermata del tram e riprende il cammino verso casa, verso i suoi amati libri. Ritrovarlo, da ottobre scorso, ogni martedì, sulle colonne del Foglio, grazie all’intuizione di Claudio Cerasa, è un piacere per l’anima. Di che scrive? Indovinate un po’? Scrive di libri. Perché di questa vita, di questa mirabolante e tragicomica commedia umana, restano i libri e poco altro.
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