La cosa più bella del Giro100 è il Giroignorante di Valerio Agnoli
Un reportage via smartphone ogni giorno su Facebook. Lo fa il gregario di Vincenzo Nibali con un’unica ambizione, quella del chi se ne frega, bene così purché se ne rida
Un tempo furono Coppi e Bartali in televisione a cantare e a pigliarsi in giro. Ma a corsa lontana, perché il Giro d'Italia era avvenimento sacro e come tale doveva essere trattato. L'evento d'Italia, da ascoltare in religioso silenzio davanti alla radio, da leggere con tanto di tono epico e romanzesco sui giornali, da quelle penne eccellenti che allora si spartivano tutti i grandi giornali e molte volte anche solo in prestito, come Buzzati o Pratolini o Campanile o Gatto, perché non bastava scriverne del Giro, serviva raccontarlo, come fosse una storia, come fosse un romanzo.
Poi arrivò Sergio Zavoli e il Processo alla tappa, la telecamera che raccontava con immagini quello che per oltre mezzo secolo era stato affidato alle rotative, alla scrittura che nel caso del ciclismo diventava più epica che cronaca, più racconto che susseguirsi di eventi. Un tempo fu Zavoli a introdursi nel mondo del ciclismo, dopo la corsa, poi prima della corsa, durante la corsa, a lato della corsa. Le parole di Lievore prese a cavalcioni di una moto, le lacrime di Merckx in una stanza di albergo di Albisola e poi la brillantezza di Adorni e le canzoni di Zandegù, i silenzi di Gimondi e quelli di Zilioli. Il ciclismo che entra nei salotti, si siede sui divani, diventa intrattenimento. Quello di Zavoli è stato l'inizio di un nuovo racconto, quello fatto dalle parole dei corridori, un'altro Giro, la stessa corsa.
“Ho sentito un bambino dire: ‘Da grande voglio diventare Lievore’. Capì allora quanto fosse importante la televisione”, scrisse Gianni Brera dopo il Giro del 1966. Ieri ho sentito un bambino dire: “Da grande voglio diventare Valerio Agnoli”. Ho capito ieri quanto fosse incredibile quanto stanno facendo quelli di CiclismoIgnorante. Valerio Agnoli è un gregario eccellente, uno di quelli che ogni capitano vorrebbe avere, uno di quelli che si mette davanti e davanti ci sta sino a quando scoppia. Eccezionale e prezioso. Proprio per questo uno di quei nomi e cognomi buoni a riempire gli ordini d’arrivo, non da copertina o podi o vittorie. Sono le anime belle del ciclismo, quelli che sgobbano per amore e convinzione, quelli che speriamo almeno vinca il capitano perché figurati se ce la faccio io. Valerio Agnoli da inizio Giro fa il reporter per CiclismoIgnorante e con lo smartphone filma, racconta quello che noi non vediamo, non abbiamo mai visto, abbiamo sempre voluto vedere: come sono ciclisti lontano dalla bicicletta. Ce li avvicina, li rende uomini e non solo atleti. E lo fa con l’“ignoranza” del caso, con un’unica ambizione, quella del chi se ne frega, bene così purché se ne rida.
E bene così pure per CiclismoIgnorante che per fortuna ha portato un po’ di novità in un mondo, quello del ciclismo e delle bici, che molte volte si prende un po’ troppo sul serio, che sa essere bellissimo, ma a volte un po’ troppo serioso. Evviva l’ignoranza dunque. Evviva Agnoli che il Giro (forse) non lo vincerà mai, ma che a questo Giro ha portato un po’ di novità.