La Coppa Cobram di Fantozzi siamo noi ogni domenica in bicicletta
La gara ciclistica di "Fantozzi contro tutti" è stata la miglior rappresentazione possibile (e grottesca) di noi cicloamatori, quella flotta di uomini e donne che affollano pianure, colline e montagne appena si presenta l'occasione
Ci hanno provato in molti a far capire cos'è la bicicletta. A far capire cosa passa nella testa di chi lo fa per passione e mai potrà neppure pensare a partecipare al Giro o al Tour o anche solo a una classica. Perché ci si sale sopra, si inizia a pedalare, ci si ammazza di fatica e respiro corto e mal di gambe e vento che soffia in faccia, sole che batte in testa quando non è pioggia o grandine. Ci sono libri e articoli e saggi e poesie e una miriade di tentativi, alcuni validi, altri pessimi, molti sinceri, alcuni paraculi, fatti a posta per intercettare l'interesse di un pubblico che è nicchia, anche se allargata, che è minoranza, ma vorrebbe non esserlo, perché minoranza vuol dire auto, vuol dire spazi stretti sulle strade, vuol dire fastidio.
Ci hanno provato in molti a far capire cos'è la bicicletta per chi affolla le strade nel fine settimana, per chi si iscrive alle gran fondo, alle cicloturistiche, alle centinaia di improbabili corse che affollano un calendario ciclistico del quale molto spesso si ignora l'esistenza. A riuscire a rendere onore a tutto questo ci riuscì Fantozzi contro tutti e la sua Coppa Cobram, con i suoi ciclisti con gli occhiali da motociclista, le loro cadute sulla linea di partenza, le loro biciclette in acciaio.
In quel ciclismo grottesco, che prendeva in giro quello da copertina, che grazie ai duelli di Francesco Moser e Beppe Saronni stava riprendendo piede nell'immaginario italiano dopo la crisi degli anni Sessanta, c'erano tutte le sofferenze dei ciclisti di passione, così diversi, per fisionomia e atteggiamento, da quelli di professione. Flotte di uomini e donne che affollano pianure, colline e montagne appena si presenta l'occasione.
La Coppa Cobram è il riassunto esasperato di storie a pedali che sono quelle di tutti coloro che salgono in sella per la loro dose di sofferenza settimanale. Perché la "salitella di viale de Amicis, nominata poi tragicamente Cima del Diavolo" dove Fantozzi incontrò "l'immancabile e impressionante tempesta teatro di ogni Gran premio della montagna", è capitata a tutti almeno una volta. Il sole della partenza che si trasforma in nuvole e pioggia e vestiti e ossa stonfe sono esperienze che si tramandano in ogni gruppo di cicloamatori. I "primi impercettibili sintomi di fatica", ossia "asfissia, occhi pallati, (arresti cardiaci – o almeno parziali), lingue felpate, aurore boreali e miraggi" sono all'ordine del giorno come le sbandate, le cadute, le trattorie del curvone piazzate lì dove non ci si può non giungere.
Così come la bomba, "quella forte e quella buona", quel rimedio contro tutte le fatiche che ognuno cerca di creare, di sperimentare, di utilizzare. Quella che magari non è piena di simpamina e altre sostanze, ma mette assieme improbabili mix di caffè, zuccheri, speranze e illusioni. Quella che è più speranza che rimedio, che è appiglio mentale più che fisico, che è idea per sopportare quella che Vittorio De Sica chiamò "l'insopportabile passione", perché "difficile se non impossibile da sopportare a livello fisico".
La Coppa Cobram è quella che tutti conoscono mettendo assieme tutte le uscite in bicicletta della loro vita, quelle che cercano di non ricordare, quelle che però sono così, come è stata Paolo Villaggio e diretta da Neri Parenti. Quella lì, senza nient'altro da aggiungere fatta anche di assurdità e scorrettezze di ragionieri in bicicletta, che resistono nonostante tutto.