Al Tour la festa di Francia è Barguil, quella di Aru è Landa

Giovanni Battistuzzi

Dopo una tappa bellissima, il francese vince il giorno dei festeggiamenti nazionali. Ed è quasi una novità: non accadeva dal 2005. La maglia gialla si difende da solo dai graffi della Sky. Contador prova a tornare se stesso

La solitudine del numero uno è un puntino giallo tra altri puntini colorati, è la calma dell'attesa nella confusione dell'azione. I Pirenei sono un inghippo romanzesco, hanno nomi e storie che starebbero bene in un libro di Izzo. Quella sportiva di Fabio Aru che si ritrova a combattere contro tutti come in una trilogia di Marsiglia, quella topografica del Col de Latrape, Col d'Agnes, Mur de Péguère, che più che salite sono trappole, che sono ardore e resistenza, inseguimento tra chi per determinazione non vuole mollare quanto conquistato e chi per ambizione e disperazione tenta la rivolta. Alberto Contador che fugge, dal gruppo e da distacchi subiti al quale non era abituato, Mikel Landa che da Düsseldorf era partito come guardaspalle ma che strada facendo se ne è stufato; e poi Nairo Quintana che a febbraio ambiva a riscrivere la storia del ciclismo, a provare l'indicibile, Giro-Tour, doppietta come Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche, Indurain, Pantani; e Warren Barguil e la sua ricerca della fuga perfetta, che poi altro non è che quella vincente. Avanguardisti a coppie, unitisi soltanto al termine di quei tremila metri verticali che portano al Mur de Péguère.

Lepri da cacciare, ma nemmeno troppo, per i segugi da classifica. L'unione di chi è davanti, si trasforma in divisione nel gruppo di quelli che contano. Lì la rincorsa si fa violenta, colpi di accetta tra gli abeti pirenaici. Chris Froome che scatta e prova a riprendere quello che ha lasciato ieri sulle ultime rampe del Peyragudes. Una botta per capire come stava chi, una seconda per capire che Fabio Aru gli è colla sulla ruota. Questo almeno a naso verso la cima. Un copione ripetuto planando verso Burret, fine della discesa, inizio del piano a scendere verso Foix, fine delle sofferenze, almeno di giornata. Inizio dei festeggiamenti, almeno francesi, perché oggi è festa nazionale, ogni anno, festa sportiva, il Tour de France, festa vera, quest'anno: perché Warren Barguil sprinta e alza le braccia al cielo e vince ed è quasi una novità. Era dal 2005 che non accadeva, era da David Moncoutié a Digne-les-Bains, sempre Pirenei, anche quella volta fuga.

Cento e un chilometri che sono un gioco di forza per i quattro davanti, di arguzia per chi guida la classifica. Senza compagni di squadra arruolabili, falcidiati come sono stati da cadute, escoriazioni e fratture, Fabio Aru ha stoppato Froome e Bardet, ha dato spazio agli altri, stoppati a loro volta da Kwiatowski, spalla di Froome, unico supporto esterno alla lotta esclusiva tra i primi sei della classifica (e il sudafricano Meintjes). Aru non sbaglia, non si fa sorprendere, si difende e bene, non perde un metro dal britannico e dal francese. E questo vale un attacco, almeno in una tappa del genere.

 

Nulla cambia nelle prime quattro posizioni della classifica generale. Tutti assieme, anche se non proprio appassionatamente. Anche se con meno guinzaglio sugli altri. Ché Mikel Landa, quarto al traguardo, guadagna un minuto e quaranta secondi, ché Daniel Martin e Simon Yates qualche spiccio.

 

Il colpo, quello vero per Aru, è stato però vedere due Sky inseguire uno Sky, è stato Kwiatowski e Froome menare tosto sui pedali, mentre Landa faceva lo stesso davanti. E' stato vedere tre musi lunghi e un solo colore di maglia, quello bianco macchiato di blu Sky. E' stato non tanto quello che è stato, ma quello che poi sarà. Perché se sarà guerra interna, tutto potrà deflagrare. Perché se sarà guerra interna, non sarà certo Landa a tirar indietro le armi. Non è la sua natura.