Quando finisce il Tour ecco Salgari. L'esotismo della Volta a Portugal
Prima del Mondiale, prima della Vuelta e delle classiche che segnano il passaggio dell'estate all'autunno c'è una corsa a tappe che sembra Mompracem. E che vorrebbe diventare un film
Quando finisce il Tour de France subentra l'abbandono. Il ciclismo continua, ma di corse sparse per Europa e mondo, che non riescono a imitare la grandeur della Grande Boucle. Si corre, ma si sente la mancanza dell'attesa, quella di un anno, di anno dopo anno. E poco importa se poi le cose non sono andate come si sperava, se lo spettacolo non è stato imperdibile come a ogni vigilia ci si attende.
Quando finisce il Tour de France subentra l'abbandono. Perché quando finisce il Giro d'Italia c'è un mese e poi c'è la Francia e la sua maglia gialla che vuol dire vittoria e chapeau, la sua maglia a pois, che vuol dire montagna e grimpeur, la sua maglia verde che vuol dire volata e vitesse. E' meglio quando finisce il Giro. Perché è giugno e c'è un'estate davanti e in questa il Tour. Ma quando anche questo finisce rimangono le uscite in bicicletta e il solleone che batte in testa e compagni di pedalate che cambiano al cambiar delle ferie. E sì, poi arriva la Vuelta, ma non è la stessa cosa. Perché in tv non è poi così scontata vederla, perché è agosto e quindi la famiglia, perché se il Giro ha il rosa, il Tour il giallo, il leader veste di rosso, che è corrida più che ciclismo. Perché prima il vessillo del più forte era arancione, poi amarillo, cioè giallo, cioè Tour, poi ancora oro: indecisione cromatica, identità complessa.
Quando finisce il Tour de France subentra l'abbandono. E allora ci si guarda attorno alla ricerca di qualcosa se il pedalare quotidiano o finesettimanale non basta. E ci sono mete che mica sono così battute e che ancora hanno la capacità di stupire, di essere sorpresa, esotismo. Mete che sono buone per fantasticare indipendentemente dai protagonisti, dalla tradizione a pedali, perché "l'avventura richiede distanza, la distanza esotismo, l'esotismo azione, l'azione vittime ed eroi", scriveva Emilio Salgari.
E così Rui Vinhas, Gustavo César Veloso, Alejandro Marque diventano Tigri di Mompracem, Rui Sousa un Sandokan, Daniel Freitas un Yanez. E così Viseu sembra Kini Balù e Bragança il Kabatuan.
Esotismo che porta al confine del continente in quella striscia di terra che parte che è Spagna e finisce che è Oceano Atlantico, che è Portogallo, inteso come terra e come Giro, Volta a Portugal, una settimana, undici giorni, dieci tappe e un prologo. Esotismo che a vederlo un tempo era cosa impossibile, a leggerlo difficile, ma ora fattibile anche se non immediato, ci si può arrivare con lo streaming, ma va da sé che non sarà mai facile come pigiare il tre o il due o il cinquantotto sul telecomando. A leggerlo basta una serie di lettere digitate su di una tastiera o su un touch screen, ceraunavoltainportogallo punto wordpress punto com. E non è la prima volta. Perché Daniele Coltrinari e Luca Onesti in Portogallo ci vivono da anni, o meglio tra l'Italia e il Portogallo vivono da anni, un po' là e un po' qua, in viaggio, continuo. La Volta l'hanno seguita più e più volte e l'hanno pure raccontata. Ogni anno in modo diverso. Ora ci vogliono fare un film, perché se l'esotismo è immaginazione ogni tanto è giusto vedere cos'è davvero. E per vederlo si può contribuire, perché il lavoro è lungo e gli spostamenti anche, perché è libertà di ognuno e possibilità di molti. Perché in fondo è ciclismo.