Un fascista è per sempre. Perché Magni continua a essere un problema per l'Anpi
L'associazione partigiana si è schierata contro l'intitolazione di una pista ciclabile a Prato al Terzo uomo. Perché tutto ciò non ha senso
A essere il terzo incomodo tra due che ad ogni corsa se le davano di santa ragione pur di essere il migliore capitava anche di ritrovarsi a essere primo. A essere il terzo incomodo tra due miti che avevano classe e capacità fuori dal comune l'unica salvezza era dimostrare di avere una determinazione incredibile, la caparbietà di non darsi mai per vinto. Fiorenzo Magni tra Fausto Coppi e Gino Bartali era l'altro, quello di mezzo, il Terzo Uomo, quello che partiva battuto sempre ma che ogni tanto si dimenticava del destino segnato e ribaltava gli eventi, vincendo.
Magni era il terzo non solo nello sport, anche nella vita del paese. Occupava, suo malgrado, gli spazi che gli altri lasciavano vuoti. Non se ne crucciava però. Erano gli anni in cui la Seconda guerra mondiale era ricordo recente e il ciclismo era il volano attorno al quale l'Italia cercava di ripartire. Era lo sport più popolare, più seguito, amato, idolatrato.
Le tensioni e le divisioni del paese seguivano i serpenti di ghiaino delle strade, elevavano a eroi e portabandiera gli atleti migliori, se ne attribuivano paternità politica. Da una parte il popolo democristiano, animato di cattolicesimo e Gino Bartali, dall'altra quello comunista e socialista, che se ne infischiava di Ginettaccio e credeva al progresso a pedali di Fausto Coppi. Il primo toscano e credente, amico dei preti, il secondo piemontese e schivo, avanguardia di un certo modo progressista di andare in bicicletta. Le due anime del paese e i suoi portacolori. Almeno iconicamente. Perché se Bartali cattolico e democristiano lo era davvero, Coppi pure, ma anche intelligente e scaltro da tenere per sé le sue convinzioni politiche senza darle in pasto ad altri. E poi c'era Fiorenzo Magni, il fascista, quello che aveva preferito Salò alla Resistenza.
La divisa dell'Italia fascista Fiorenzo Magni la indossò per davvero. Per l'Italia fascista combatté per davvero. D'altra parte per uno nato nel 1920 sarebbe stato difficile fare il contrario. Nonostante tutto l'Anpi si è sentita in dovere di escludere la possibilità di intitolare a Prato una pista ciclabile al corridore toscano. Una notizia trapelata "da fonti vicine al sindaco" e subito smentita dallo stesso sindaco Matteo Biffoni: "Non c’è alcuna richiesta e non abbiamo nessuna intenzione di intitolare qualcosa a Magni, che è stato un grande ciclista e purtroppo anche un fascista convinto".
Le cose però sono più complicate di così.
Fiorenzo Magni è morto nel 2012 e della sua tanto sbandierata convinzione ideologica repubblichina non se ne ha notizia. A pesare sul suo ricordo rimane quell'accusa di aver participato allo scontro fra partigiani e fascisti vicino a Vaiano del gennaio del 1944, la cosiddetta strage di Valibona. I fatti dicono che in quel caso un gruppo di fascisti fu circondato da un gruppo di partigiani e, al termine dello scontro, tre antifascisti furono uccisi, altri vennero catturati e torturati. Il processo scagionò Magni dall'accusa per mancanza di prove. Il campione non si presentò in aula, si era già trasferito a Monza, e in Toscana non volle più tornarci a viverci. A Vaiano per tutti Magni era il fascista. E questo bastava per trasformarlo nel nemico. La nomea fu esportata e raggiunse l'Italia intera.
La faciloneria di quegli anni di affibbiare un'etichetta a tutto, di classificare uomini per fede politica seguì come un'ombra Magni per tutta la sua carriera. E ancora lo segue. Nonostante le parole di Alfredo Martini, grande corridore del dopoguerra e commissario tecnico della Nazionale, al processo: "Il Magni che è corridore ciclista fino al 25 luglio 1943 mi è parso un’ottima persona". Nonostante quanto riuscì a scoprire lo storico, nonché grande appassionato di ciclismo, John Foot: "Ho trovato dei documenti usati dall’avvocato di Magni al processo di Firenze del 1947 che dicevano che lui a Monza, nel 1945, aveva aiutato la resistenza. Erano documenti che rovesciavano, almeno in parte, la versione di Magni 'fascista'". Documenti che riportavano come il Leone delle Fiandre si impegnò segretamente ad aiutare diverse brigate partigiane durante la resistenza. A Pier Augusto Stagi, Alfredo Martini raccontò: "Fiorenzo ha sempre avuto le sue idee, ma non ha mai fatto male ad una mosca. Io lo conoscevo bene e non ho fatto altro che dire quello che sapevo di Fiorenzo. Non ho fatto nulla di eroico, ho solo difeso un fratello in difficoltà. Sì, perché per me Fiorenzo è sempre stato come un fratello"
Magni non ha mai voluto parlare del suo passato. Si è limitato a dire a Montanelli che "il Signore sa il passato di ognuno e questo basta", che "il giudizio del pubblico si forma sulle poche cose che si può conoscere, quello delle persone care su ricordi di una vita assieme". Magni ha proseguito la sua vita pedalando e una volta sceso dalla bicicletta occupandosi di ciclismo, "nel modo migliore per me possibile", contribuendo a realizzare il Museo del ciclismo di fianco al Santuario della Madonna del Ghisallo, santa protettrice dei ciclisti. Si è speso per una vita per questo sport.
Una pista ciclabile dovrebbe essere attribuita per meriti ciclistici non per ideologia politica. I meriti ciclistici ci sono, quegli umani pure, almeno a sentire chi Magni lo ha conosciuto. Alfredo Pasotti, gregario degli anni Cinquanta nelle nazionali italiane al Tour de France (allora la corsa veniva corsa da selezioni nazionali) e partigiano, di lui disse: "Fiorenzo è sempre stato un gran uomo, le cose che si dicono sul suo conto non dovrebbero pesare sul giudizio che abbiamo di lui. Quello di una persona per bene, al di là di ogni dubbio".
Forse è il caso, ora, nel 2017, di seppellire la faciloneria nei giudizi, di superare l'inutile retorica su Fiorenzo Magni e ricordarlo per la sua eccezionalità di corridore.