Andare in bici sembra essere diventata una colpa
Un ciclista di 22 anni è morto ieri a Roma investito da due macchine. Perché ormai in Italia il concetto di libertà è esteso a tutto tranne al pedalare in città
Ci sono libertà e libertà. Quelle reclamizzate e accettate e quelle accettate e accettabili ovunque, ma altrove. Ci sono le campagne pro qualcosa, le réclame dei diritti inalienabili. Libertà di dire quel che si vuole, a patto che sia accettato dal censore universale, a patto che sia politicamente corretto. Libertà di cambiare, di trasformarsi, di scegliersi lavoro, vita, ora anche il sesso di appartenenza. Libertà di andare ovunque e in ogni modo, magari alla velocità che si vuole purché sia veloce. Evviva la libertà, purché sia di moda, ben vista.
Ma ci sono libertà e libertà. E quando queste si scontrano vince quella più solida, quella maggioritaria. Lo si vede in strada ogni giorno, lo si vede passeggiando e guidando, girando in scooter e con i mezzi. Ma in bici no. La libertà della bici non c'è, perché andare in bici è pericoloso, dicono i più, è un suicidio, dicono i più. E allora se si pedala per Roma sono cavoli dei ciclisti, se succede qualcosa arriva il solito commento, il solito pensiero: ecco, si sapeva che sarebbe successo, se la sono cercata.
Perché la libertà è bellissima, ricercata e difesa, purché non sia ciclabile. Quella no, non vale. Non è libertà è cercarsela, la morte. Ieri, a Roma, sul Lungotevere Maresciallo Giardino è toccato a un altro. A un ragazzo di ventidue anni. E' successo alle ventidue. E basta l'ora per chiedersi, sui social, ma cosa ci faceva alle ventidue in giro in bici? Chi lo sa. Forse tornava a casa, forse andava al lavoro, forse a bersi una birra con gli amici. Forse lo stesso che stavano facendo le automobili che assieme a lui scorrevano per Roma. Peccato che a nessuno sia venuto in mente di fare la stessa domanda e di rivolgerla agli altri, agli automobilisti, ai motociclisti. Come se la bicicletta sia un'ammissione di colpa, una scelta suicida.
Esci alle ventidue? Sei matto. E se passa il concetto che sei matto, la gente ti tiene da parte, ti emargina, ti esclude. Il ciclista urbano rientra in quelle categorie del sottobosco urbano, quelle di cui non ci si accorge.
A Roma ci sarà una nuova bici bianca, un nuovo ricordo di una persona sparita per sempre. Le chiamano ghost bike, dovrebbero essere un monito per riflettere sul fatto che la strada è una cosa seria. Stanno diventando l'attestato alla sacrificabilità della libertà di andare in bici, alla marginalità di chi pedala.