Foto tratta da Wikipedia

Le tre birre d'attesa di Ritte al Giro delle Fiandre

Giovanni Battistuzzi

La Ronde del 1919 e l'impresa di Henri Van Lerberghe che si presentò senza bici alla partenza e vinse con un quarto d'ora di vantaggio

Quando tornò dal fronte dell'Yser al suo paese, Lichtervelde, quasi nessuno lo riconobbe. Era magro come una scopa e, sotto uno strato di fango e sporcizia, bianco come un cencio. D'altra parte quattro anni in trincea sono una prova dura per chiunque, anche per chi alla fatica c'era abituato da sempre. Henri Van Lerberghe a faticare non aveva problemi, ma su di una bicicletta e solo se dopo c'era in programma una grossa mangiata. Henri Van Lerberghe, lo chiamavano Ritte, e la bicicletta la conobbe presto e presto capì che per trovare da mangiare era meglio faticare su un velocipide che su di un campo a cogliere patate, perché in quest'ultimo le patate te le devi raccogliere, mentre con la bici te le danno in mano. Aveva capito anche che il traguardo finale fa l'albo d'oro, ma quelli intermedi riempiono le tasche di cibo e di quattrini. E così menava sui pedali da subito, cercava la solitudine della fuga. Durante il primo Giro delle Fiandre del 1913 provò l'assolo a trecento chilometri dal traguardo (su 345): finì quattordicesimo. L'anno successivo a 240, finì secondo. Andò meglio al Tour de France del 1913, quando decise di lasciare tutti a un centinaio di chilometri dall'arrivo e non lo videro più. Quel giorno, era il 7 luglio, prima dell'avvio aveva avvisato tutti: "Oggi vi uccido tutti". E quando ci riuscì davvero, si esaltò a tal punto che iniziò a dirlo a ogni corsa. Sino ad allora Ritte per tutti era "lo stupido pazzo", da quel giorno diventò "Il cavaliere della morte di Lichtervelde".

 

Quel "oggi vi uccido tutti" lo disse anche al via del Giro delle Fiandre del 1919, il primo dopo la conclusione della Grande guerra (anche se sono certificate almeno due edizioni della Ronde in tempo bellico). Tutti risero. E non solo perché lo diceva ogni volta, soprattutto perché quel giorno, quel 23 marzo, giunse alla partenza direttamente dal campo militare, ci arrivò a piedi, senza una bici e fumando una sigaretta. Ritte fece spallucce e ribadì: "Oggi vi uccido tutti e vi vedrò arrivare uno per uno". Fortuna volle che, quel 23 marzo, per caso riuscì a trovare una bici e i dieci centesimi d'iscrizione. E così si mise al via, dietro a tutti. E dietro a tutti pedalò a lungo, ché la fame gli premeva lo stomaco e allora si dovette fermare a mangiare nell'osteriola di un commilitone che aveva conosciuto al fronte. Quando rientrò sui primi di chilometri al traguardo ne mancavano 140. Venti chilometri dopo, decise che in scia il ciclismo è noioso e banale e tanto vale la pena di provare di prendere subito l'avanguardia. Su di un leggero pendio in pavé scattò e tutti pensarono: "Ecco il solito povero pazzo".

 

Ritte macinava chilometri che era una meraviglia. Sembrava un treno. E quando un treno lo trovò davvero, vagoni su vagoni fermi a bloccar la strada ai corridori, si mise la bici in spalla, salì a bordo e discese dall'altro lato della strada.

 

Ritte pedalava evitando le buche tra ruderi che un tempo furono case. E quando giunse a Gent quasi non si accorse di essere in un città e proseguì dritto. Fu un uomo della giuria ad accorgersi che aveva sbagliato strada e a rincorrerlo per un chilometro prima di ricondurlo verso il velodromo. E quando c'entrò una folla chiassosa iniziò ad applaudirlo e un uomo con un megafono a urlare: "E' arrivato il primo corridore, è arrivato il primo corridore". Superato il traguardo sorrise e chiese una birra. Disse: "Ora me ne bevo una ogni cinque minuti". Se ne scolò tre litri prima che Léon Buysse, fratello di Marcel primo vincitore della Ronde, arrivasse. Ritte lo salutò e beffardo gli offrì il boccale dicendo: "V'avevo detto che oggi vi ammazzavo tutti".

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