Valgren si beve l'Amstel e i ricordi. Terzo Gasparotto

Giovanni Battistuzzi

Il danese dell'Astana conquista la classica olandese scattando a 2.500 metri dall'arrivo e battendo allo sprint Kreuziger

Caterina II di Russia, prima di diventare imperatrice, era una ragazza che non disdegnava i divertimenti. E per questo convinse suo padre, lo zar Pietro III, di costruirle uno scivolo in legno di settanta metri dal quale, in inverno e con il ghiaccio, potersi lanciare a bordo di una slitta. L'idea piacque, e molto, anche a diversi nobiluomini europei. E così il gioco di Caterina II approdò in Francia dove, in mancanza di ghiaccio, utilizzarono rotaie. Arrivò poi anche in America e, per farla semplice e più rustica, utilizzarono quelle di alcune cave non lontane da New York. Fu talmente un successo che le montagne russe raggiunsero tutto il mondo. "Dieci centesimi per un brivido", era il motto della Compagnia di Belville, la prima a portare questa giostra in Francia. Dieci metri per un successo potrebbe essere invece il motto di Michael Valgren, corridore danese dell'Astana, quelli che sono bastati per piegare la resistenza del ceco Roman Kreuziger, quelli buoni per dimenticare, sulle montagne russe del Limburgo, la leggera vertigine che prova quando si sporge da un terrazzo o nel momento del decollo di un aereo. Perché l'Amstel Gold Race è un su è giù continuo, un susseguirsi continuo di salitelle e di discese, di falsopiani che sembrano non finire mai, uno sballottamento di curve e controcurve. Non c'è pianura e non ci sono rettilinei, "sembra di stare in una lavatrice", raccontò, con fortunata immagine, il belga Claude Criquielion dopo essersi fatto beffare nel 1988 dal grande pistard olandese Jelle Nijdam.

 

Trent'anni dopo, dalla lavatrice del Limburgo sono usciti, a poco più di duemilacinquecento metri dal traguardo, in due: Valgren e Kreuziger. I più bravi a sfruttare il momento giusto, quello dell'indecisione di Alejandro Valverde, quello dell'attesa di Peter Sagan, quello del fiato da recuperare di Tim Wellens e degli occhi persi nel vuoto di Julian Alaphilippe. Erano loro i nomi più attesi, gli uomini da copertina dell'unica classica olandese, della più giovane della campagna delle Ardenne. Sono loro che per una ventina di chilometri hanno animato la corsa, sono scattati, hanno inseguito gli avanguardisti della mattina e poi i generosi del finale. Tra questi lo stesso Roman Kreuziger, partito dopo lo scollinamento del Keutenberg, assieme a Enrico Gasparotto, uno che a queste latitudini trova il colpo di pedale del grande corridore. Kreuziger ha azzardato, ha dissipato energie alla ricerca dell'impresa, ha visto il rientro del gruppo buono e si è accodato. Poi, quando la maglia azzurra di Valgren si è palesata al suo fianco e lo ha sorpassato scattando, gli si è attaccato alla ruota, ignorando le gambe che pulsavano fatica, sperando fosse quello il giro di giostra buono. Lo è stato. I compagni d'avanguardia infatti hanno iniziato a guardarsi, sono entrati nel gioco, sempre perdente, del io non vado, tocca a te. Un gioco che non è mai piaciuto a Enrico Gasparotto che da questo si è stufato, si è involato, cercando un tardivo ricongiungimento con il compagno d'improvvisata di poche decine di chilometri prima. Troppo tardi per raggiungerlo, ma non per un podio che è risultato prestigioso.

 

Kreuziger tira per ripetere il colpo di mano del 2013, quello che lo vide prima (e unica classica); Valgren tira, ma con il pensiero a due anni prima, quando sulla salita del Cauberg si era dannato per non perdere la ruota di Gasparotto, in discesa aveva iniziato a picchiare duro sui pedali per non essere ripreso dal gruppo, dimenticandosi però di avere alla ruota un volpone che dalle sue spalle era apparso e lo aveva beffato a due passi dal traguardo; Gasparotto insegue sperando che il detto "non c'è due senza tre" sia certezza e non solo auspicio. Tre speranze e tre uomini che sono tre razze diverse di corridori. Il primo uomo da corse a tappe, il secondo giovane rampante delle corse del nord, il terzo uomo per ogni stagione, per ogni corsa, purché ci sia qualche salita da affrontare e un po' di confusione da sfruttare.

 

 

Tre speranze che occupano un podio, un sorriso più grande degli altri: quello di Valgren, primo al traguardo, il più motivato forse dei tre, perché le delusioni sono un carburante che ha più ottani rispetto a quello dei successi.

 

 

Valgren primo in un urlo che sa di liberazione dopo tanti piazzamenti, che sa di conferma dopo quello alla Omloop Het Nieuwsblad, che è un brindisi per dimenticare i fantasmi di troppe sconfitte, quelli che gli avevano fatto dubitare delle sue qualità e qualche volta pure di se stesso. Quelli che, forse, si sono dissipati oggi, al suono di quell'urlo, sotto quelle braccia che scuotono, con rabbia, l'aria del Limburgo.

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