Pantani è una maglia rosa tra le parole Giro d'Italia
Era il 7 giugno del 1998 e il Pirata sul palco di Milano conquistava quella che altro non era che "la vittoria della volontà"
Dal cielo cadeva acqua come alle Marmore, ma quasi non ce se ne accorgeva. C'era il Giro d'Italia, certo, c'era soprattutto quell'omino che aveva reso ogni montagna uno spettacolo, lunga o corta che fosse, ripida o pedalabile non aveva importanza. Lui piazzava i suoi uomini avanti, gli faceva aumentare il ritmo, scattava. Ed era scattato talmente tante volte che il pubblico era impazzito, l'aveva applaudito, aveva soprattutto visto in quel ragazzo con la maglia gialla e ora rosa, pochi capelli e un sorriso timido un ricordo vivente e visibile di un ciclismo che era cosa antica, fatto di fughe e montagne pedalate alla garibaldina. Poi quel duello vinto con il russo, su a Plan di Montecampione, oltre una dozzina di chilometri di testa a testa, scatti e allunghi, sino al saluto finale, quello chiamato vittoria, chiamato trionfo. Apoteosi.
In oltre centomila avevano occupato le strade di Milano quel giorno per vedere i corridori e per vedere lui, Marco Pantani, indossare l'ultima maglia rosa di quell'anno, quella definitiva, quella che porta un nome scolpito in eterno tra altri nomi, quelli che hanno fatto la storia di questo sport.
Era un Giro che voleva essere internazionale, fatto alla francese, per attirare il mondo. C'erano cronometro e salite lunghe, spazio per le volate e qualche trappola qua e là. C'era Alex Zülle, che veniva da un podio al Tour de France e due vittorie alla Vuelta di Spagna ed era pronto a dare quel tono di esotismo alla corsa, la parvenza che tutto fosse deciso, perché così doveva andare, la vetrina sarebbe stata perfetta. E invece Pantani aveva sbaragliato tutto. In montagna, quelle che il Giro gli offriva. "Con questa maglia il destino mi ha restituito quello che mi aveva negato. Questa maglia me la meritavo. E' la vittoria della volontà". Poche parole, il senso esatto del suo Giro. Perché quel Giro l'aveva voluto e aveva fatto di tutto per vincerlo. Aveva sfibrato i rivali. Pure Pavel Tonkov, mulo montano incapace di arrendersi, aveva dovuto chinare il capo e fare i conti con la realtà.
Una realtà che si chiude con i malumori del russo, che getta al vento accuse. Con la risposta del Pirata, che è un arrembaggio dialettico, un colpo di spada che risponde a colpo d'ascia. "Ho vinto meritatamente. Se avesse vinto Tonkov, sarebbe stato il trionfo della mediocrità. Nella prima parte del Giro, quando io attaccavo lui era sempre in fondo al plotone. Mi ha battuto solo in una tappa, l' Alpe di Pampeago che era da dilettanti per quanto era corta. Ma non ha dato alcuna dimostrazione di superiorità. Con lui non avrebbe certo vinto né la fantasia né il coraggio solo l' abilità di correre a ruota sfruttando il lavoro degli altri".
Una realtà che si chiude in velocità in un fiume d'asfalto zuppo d'acqua sul quale spicca il volo Gian Matteo Fagnini, che anticipa d'un soffio Massimo Strazzer e Zbigniew Spruch, ruote veloci superstiti a una corsa che aveva intersecato montagne su montagne nell'ultima settimana.
Una realtà che si chiude e chiudendosi scrive l'ultima pagina di una storia meravigliosa, che lasciamo a Claudio Gregori raccontare. "La corsa è finita. Tremilaottocentoundici chilometri di strada riposano alle spalle di Pantani. E, col Giro, sembra finire anche la primavera. Oggi la voce di Adriano De Zan non darà più corpo ai sogni. Le ruote non scintilleranno più nel sole della corsa. Pantani ha già tolto la sua maglia rosa fiammante dalla valigia e la espone come un ex voto nel salotto di casa: forse anche Giasone aveva fatto lo stesso col vello d'oro. E uno dei nuovi Argonauti, Podenzana, finalmente abbraccerà il suo ultimo bimbo, Thomas, nato all'inizio dell'avventura. L'anabasi è compiuta. I superstiti dell'avventura sono approdati a Milano. Il Giro è già ricordo. Vivrà in parole che bruceranno come rami di ginepro, ricche di aromi e di bellezza, ma anche di nostalgia. E, forse, qualche tifoso solitario cercherà ancora nell'erba il diamantino di Pantani sulla salita di Montecampione per avere un souvenir strepitoso di quest'avventura".
Una realtà che è solo il primo tempo di un racconto più lungo, che sarà ancor più magnifico, che sarà indimenticabile.