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A Sarzeau (vince Gaviria) il Tour è un viaggio lungo un secolo

Giovanni Battistuzzi

La prima bici nel paese che si affaccia sul Golfo di Morbihan arrivò negli anni Ottanta dell'Ottocento. Il prete chiese la scomunica per il suo possessore. Ci sono volute 105 edizioni della Grande Boucle prima che i corridori arrivassero sin qui

Sarzeau. La prima bicicletta a Sarzeau arrivò sul finire degli anni Ottanta dell’Ottocento. La portò da Parigi un ricco signorotto coi baffi originario di Rennes, tal monsieur Lucas de Roulle, ma che all’entroterra aveva preferito il clima più mite del Golfo di Morbihan. L’arrivo di quello strano mezzo a due ruote stupì a tal punto la popolazione locale che un allevatore di cavalli del luogo si appostò per giorni davanti la sua villa per capire come facesse a muoversi e di cosa si nutrisse quello strano animale. Il prete del luogo invece decise che quello era un mezzo del diavolo e scrisse al vescovo della zona per chiedere la scomunica del signorotto, che però non arrivò mai. Il vescovo di biciclette ne aveva viste diverse e non le trovava diaboliche.

 

Che fine abbia fatto quella bicicletta non se ne ha notizia. L’ultima testimonianza se ne ha in uno scritto sulla storia bretone di Xavier de Langlaise, che fu artista completo a tal punto da essere ricordato ancor oggi sia come pittore che come incisore e scrittore, e che da promotore per tutta la sua vita dell’identità bretone (e da cittadino di Sarzeau), raccontò la vicenda. Quella bici de Langlaise l’aveva vista nell’abitazione degli erede de Roulle, solo che come bicicletta era un po’ stramba: aveva tre ruote, una davanti e due dietro e una sella simile a un sedile d’automobile.
Per anni quella di monsieur Lucas rimase l’unica bicicletta nel paese. Ne arrivarono altre nel Novecento, ma sempre poche. A Sarzeau ci si è sempre mossi verso il mare e da lì si saliva sulle barche. Per coprire le distanze di quel braccio di penisola che abbraccia il golfo si preferivano cavalli e muli, che almeno aiutavano nei campi, al massimo i piedi, che costavano meno.

 

Sarà forse anche per questo che il Tour de France a Sarzeau non era mai arrivato in centocinque edizioni. E come accade per le prime volte l’eccitazione è tanta, a tal punto che la città si è vestita più a festa del solito, tutto scintillava come il mare della baia sotto i raggi del sole. Anche perché qui è sindaco David Lappartient, che altro non è che il presidente dell’Uci.

 


Foto di Giovanni Battistuzzi


 

Così per godersi questi nuovi paesaggi i corridori in corsa hanno deciso di prendersela comoda, di osservare il più e il meglio possibile ciò che gli organizzatori gli avevano riservato per oggi. Al sonnecchiare del gruppo non si sono adeguati invece gli avanguardisti. Anche perché gente come Claeys, Perez, Cousin e Van Keirsbulck è gente di grande fatica, di volontà enorme, ma di vittorie poche e occasioni del genere vanno inseguite sino in fondo. Peccato per loro che il gruppo ha fatto i conti bene, ha accelerato il giusto quando serviva e ha lasciato loro solo l’illusione di potercela fare. Il belga Van Keirsbulk ha attraversato la linea dell’ultimo chilometro in testa, ma è soddisfazione solo parziale perché quella che conta l’ha attraversata per la seconda volta il colombiano Fernando Gaviria dopo un ruota a ruota lungo oltre duecento metri con André Greipel e Peter Sagan. Sorrisi per il velocista della Quick Step, una scrollata di capo per i quattro fuggitivi, animatori per quasi duecento chilometri della corsa, finiti nemmeno qualche mosca in mano all’arrivo nonostante il lavoraccio. Capita, è il ciclismo.

 

 

Lavoraccio come quello che fanno gli operatori televisivi che riprendono i luoghi di interesse storico e artistico per il Tour. Perché anche questo è ciclismo, bici e uomini che attraversano regioni e paesi, che attraversano per settimane le vite di chi in quei luoghi vive e per quei luoghi si muove. “Sveglia presto, colazione veloce e subito in macchina. Si gira per la regione, si riprendono e si cerca di raccontare i luoghi che sono stati scelti dal regista”, racconta Michael che dal 2005 gira la Francia telecamera in mano per riprendere il meglio che il patrimonio artistico francese ha da offrire. “Parte del lavoro lo si fa in primavera, altro nelle settimane precedenti all’inizio del Tour, il resto in giornata. E forse è quello peggiore, perché i tempi sono ristretti e la possibilità di esplorare quasi nulla”, racconta. Poi sorride, “però devo dire che c’è molto di peggio, anzi un lavoro del genere, dopo anni in uno studio televisivo, è una figata pazzesca”.

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