La buona novella di Remco Evenepoel
Il belga ha vinto i mondiali di ciclismo di Innsbruck junior sia a cronometro che nella prova in linea. E c'è chi lo paragona a Eddy Merckx. Lui dice di essere al massimo "il nuovo Remco Evenepoel"
Quarant’anni, almeno nel ciclismo, equivalgono ad almeno cinque ère geologiche a pedali. Quarant’anni, soprattutto nel ciclismo, sono un’attesa eterna. Quarant’anni è un ritardo ingiustificato e forse ingiustificabile, almeno a quelle latitudini, almeno lassù tra Fiandre e Ardenne, tra côtes e muri, in quel Belgio dove la bici è festa e almeno una volta all’anno festa nazionale, quasi sempre religione.
Quarant’anni sono scoccati il 28 maggio. Allora era il 1978 e Johan De Muynck a Milano saliva sul gradino più alto del podio, si vestiva di Rosa, conquistava il suo primo e unico Giro d’Italia. Dopo di lui nessuno ha fatto altrettanto in nessuna delle tre più importanti corse a tappe. Giusto il secondo posto di Michel Pollentier alla Vuelta 1982 e due terzi posti, quello di Johan Bruyneel sempre in Spagna nel 1995 e quello di Thomas De Gendt al Giro 2012. Ci sarebbe pure quello di Jurgen Van den Broeck al Tour 2010, ma arrivò dopo la squalifica di Alberto Contador, quindi non vale.
Quarant’anni sono un’enormità per una nazione che aveva vinto spesso e volentieri, che aveva regalato a questo sport campioni e corridori spettacolari, che ha vissuto per anni di pane e ciclismo, che altro non è che la declinazione più dolce della fatica più infame. I belgi sono diventati altro da prima, specialisti delle specialità di casa, ossia dell’andar per pavé e dell’andar per colline. L’andar per montagne l’hanno lasciato a chi le montagne le ha. E non si erano disperati, avevano soltanto guardato in faccia la realtà, fatto i conti con la consapevolezza che dopo il Cannibale difficilmente c’era la possibilità di vedere di meglio, che Eddy Merckx era stato tanto, forse troppo per crucciarsi davvero. Avevano capito che meglio concentrarsi altrove che intestardirsi nell’attesa. La luce si sarebbe accesa di nuovo, bastava attendere un segnale, il momento giusto dell’illuminazione.
Nel buio qualche luce, ma intermittenti, alcuni fuochi, ma fatui, molte parole pochi fatti. Poi un lume più grosso, più intenso, il chiacchiericcio che diventa allerta. Una buona novella che si sparge, che seduce, che ammalia. Un nome mai sentito: Remco. Un cognome che rimanda ad anni prima, a un altro ragazzotto che sembrava avercene di talento, e tanto: Evenepoel. Patrick Evenepoel aveva velocità e talento, ma non la forza di rinunciare a tanto per fare il corridore. Aveva però geni buoni e capacità di attesa. Lasciò che Remco Evenepoel, il figlio, giocasse a pallone, provasse a fare il calciatore, gli rubasse la bici e si innamorasse di essa. La buona novella iniziò quel giorno. Della buona novella si accorsero in molti più tardi. Cinque agosto 2017, Aubel-Thimister-La Gleize, che in Belgio è tanta roba, tanta storia, almeno per la categoria juniores. Terza tappa: Evenepoel sulla collina più dura di giornata diventa lampo, sparisce dalla vista degli altri, vince nonostante il vento contrario che gli rosicchia decine e decine di secondi di vantaggio. Dirk Eejneart, per anni meccanico della nazionale belga si trova per caso sul percorso. Commenta: “Mi sembrava Freddy Maertens”, che in Belgio è un complimento.
Era ancora il 2017 e Carlo Bomans, allenatore delle nazionali giovanili della Federazione belga, lo vide in azione alla Philippe Gilbert juniors e disse: “Se continua così farà male a tutti, toglierà le speranze a molti”. Remco Evenepoel continuerà. Inizia il 2018 e domina la Kuurne-Brussel-Kuurne Juniors, poi la Guido Reybrouck Classic.
Poi conquista la Corsa della Pace Juniors e Giro della Lunigiana, che in pratica sono diploma e laurea di categoria. E nel mezzo ci piazza pure il Trophée Centre Morbihan, il GP Général Patton e l’Aubel-Thimister-Stavelot, ossia tutte le corse a tappe a cui ha partecipato, ossia "va forte a cronometro, in salita vola, sul piano mena e in discesa c’è molto di peggio, sono stupito, decisamente stupito, abbiamo davanti qualcosa di non comune”, ha detto alla radio belga Herman Van Springel, argento mondiale a Imola 1968.
E qualcosa di non comune lo ha fatto agli Europei di Zlín, Repubblica Ceca: novanta chilometri di assolo, il secondo, lo svizzero Alexandre Balmer a quasi dieci minuti. E qualcosa di non comune lo ha rifatto ieri a Innsbruck, questa volta ai campionati del mondo. Ai meno 70 dal traguardo resta dietro a causa di una caduta, davanti l’Italia spinge, dietro il belga si affanna a rientrare. Quando raggiunge il gruppo il nostro Andrea Piccolo, e il tedesco Marius Mayrhofer se ne sono già andati. Altro giro, altra rincorsa. Prende fiato, sbuffa insegue ancora. Da solo. Ai meno 40 è sui due, poco dopo se ne va, gli rimane a ruota solo il tedesco. Durerà poco. Remco Evenepoel è solo, è campione del mondo juniors. Il tutto bissando la vittoria della prova a cronometro.
Remco Evenepoel è tanta roba, forse troppa roba, il nuovo Merckx, dicono. Lui risponde a Cyclingnews, tra l’umile e lo spavaldo: “Non sono il nuovo Merckx. Non ho vinto un titolo mondiale come pilota professionista e non ho vinto il Tour de France. Sono lontano dall'essere il nuovo Merckx, sono solo il nuovo Remco Evenepoel”. E poi: “Non sono un campione, sono ancora un junior. I veri campioni sono i migliori tra i professionisti. Ho ancora molta strada da fare”.
Intanto il prossimo anno passerà professionista nella Quick-Step. “Non penso né mi preoccupo di ciò che le persone si aspettano da me. Devo solamente concentrarmi sul mio percorso di crescita. Ciò che mi aspetterà il prossimo anno non lo so, ma so che la Quick-Step ha un piano. Loro hanno i loro obiettivi e io miei; se riusciamo a raggiungerli assieme sarà fantastico”. In Belgio sono sicuri di avere il nome e cognome che interromperà questi quarant’anni di vuoto nelle corse a tappe. Intanto Carlo Bomans su cyclismrevue però si arrabbia a sentir tutto questo: “Sento che è paragonato a Eddy Merckx dalla stampa, sento un sacco di altre cose. Smettiamo di fargli credere di essere una stella: è il modo migliore per bruciare un talento”. Se son campioni fioriranno. Lo disse pure Merckx a inizio carriera: “Sarò un campione? Boh. Per ora vinco e non mi stufo”.