Quel concerto di salite che è il Giro d'Italia (secondo Davide Cassani)

Giovanni Battistuzzi

"Le salite più belle d'Italia" (Rizzoli), ossia il senso ascensionale del ciclismo. Il viaggio tra le cime dell'Italia a pedali del ct della Nazionale, assieme a Beppe Conti

L'immaginazione è una strada che sale, è pianura alle spalle e nuvole davanti agli occhi, è un susseguirsi di tornanti verso il cielo, è il guardare a valle e vedere il baratro. La montagna è un richiamo irresistibile, è un magnete che attrae indissolubilmente chiunque su di una bicicletta sa sentirsi felice. Perché è mentre ci si danna a risalire un monte, mentre le gambe s'affannato, il respiro s'accorcia all'impazzire del cuore, che ci si sente parte di qualcosa più grande di noi: di un vagare tra le immagini di quei campioni che hanno esplorato quelle ascese, sancendone il mito. Perché in queste zone impervie, un tempo difesa naturale dall'invasore, baluardo di resistenze, il ciclismo ha trovato il suo luogo d'elezione. Ha trovato nel verde dei boschi, nel grigio e nel bianco delle cime il suo vestito più bello e affascinante. Quello che immancabilmente va indossato, perché è ascensionale la via verso la meraviglia.

 

E' un'affascinazione diffusa, che spinge ovunque milioni di ciclisti verso l'alto. E' un'affascinazione antica e moderna allo stesso tempo, richiamo al passato, volontà di esplorazione. Vale per chiunque si mette a pedalare su di una bicicletta solo per passione, vale per chi si mette su di una bicicletta anche per passione e soprattutto per professione. Ogni volta che la strada sale si entra in una dimensione temporale stramba, dove il tempo si allarga e si dilata, dove la percezione sensoriale si altera e nulla davvero appare per quello che è. Succede sempre, succede soprattutto quando curve e tornanti portano verso il cielo, quando i campioni di un tempo iniziano a correrti affianco. E ti superano. Perché è sempre eccezionale il ricordo, sempre affannosa la realtà. Perché il ciclismo offre i suoi simboli a chiunque abbia la voglia di affrontarli. Sono lì alla portata di tutti, non ci sono limiti o barriere al loro ingresso, se non la volontà di mettersi in discussione: sono sempre all'insù.

 

Le salite sono simulacri strani. Molte volte sono un collage di volti, di storie, di imprese che si perdono nel tempo, che avvicinano l'inizio del Novecento ai giorni d'oggi. Altre sono scoperte recenti. Alcune sono ancora da scoprire. Tutte, almeno in Italia, sono parte di un libro secolare, quello del Giro d'Italia, quello che domani, 31 ottobre, presenterà il suo nuovo percorso, il numero 102.

 

Ogni anno un nuovo viaggio, ogni anno l'impossibilità di fare a meno di loro. Perché è il susseguirsi delle salite che scandirà i sogni di chi vorrà conquistare la maglia rosa. E pure gli incubi di chi da Bologna partirà per cercare di raggiungere Verona, sede d'arrivo della corsa, con l'obiettivo di portare a casa il numero e la speranza di qualche fuga buona per farsi un po' di pubblicità. Ogni volta è un balzo nel passato che ne richiama uno nel futuro, nell'ignoto. Ogni volta un nuovo racconto, nuove immagini che si sovrappongono a quelle precedenti senza però cancellarle.

 

E' sedimentazione il ciclismo, continuo mescolarsi tra presente e passato. Un rapporto indissolubile tra quello che è accaduto e quello che accadrà. Lo sa bene chi pedala e anche chi questo sport lo segue dal divano. Lo sa bene chi ha pedalato e non riesce a smettere. Lo sa bene Davide Cassani che per in bicicletta ha corso e vinto, che il ciclismo l'ha commentato in diretta, che dalla tv poi si è allontanato per sedersi sull'ammiraglia della Nazionale italiana. E pure (e soprattutto) Beppe Conti che questo sport lo ha attraversato per decenni sino a diventarne memoria storica. Assieme hanno scritto "Le salite più belle d'Italia" (Rizzoli, 320 pp., 18 euro) che è un compendio di storie a pedali prima che un resoconto di tutte quelle ascese che in un modo o nell'altro sono state scenario delle imprese della Corsa rosa.

 

C'è il Sestriere e il Pordoi, c'è il Terminillo e l'Abetone, salite da imprese in bianco e nero. C'è il Mortirolo, il Colle delle Finestre e lo Zoncolan, ossia tutto il meglio che il Giro d'Italia ha presentato negli ultimi trent'anni. Ci sono i tornanti dello Stelvio e il drittone che toglie il fiato del Fedaia. Ci sono soprattutto le pedalate che parola dopo parola Cassani racconta, in un insieme continuo di ricordi d'un tempo e rapporti moderni, di imprese passate e fatiche recenti, di scalatori fenomenali e catene che girano lentamente. E' libro a due velocità: ci sono i tempi accelerati deo grandi grimpeur e il tempo giusto delle ascese del ct, quello buono per arrivare in cima gustandosi quello che la salita ha da offrire, che è sempre tanto e non solo per fatica.

 

Tra le pagine c'è il Cassani più amato, quello che si metteva in bicicletta e raccontava i luoghi e le ascese del Giro. Lo faceva per la Rai, l'ha rifatto in questo libro. Ci sono i suoi consigli e le sue fatiche. Sono pagine sudate e sudate per davvero, ma nel modo migliore, quello che dà più soddisfazione. E' un libro che parla, che è vocale, perché mentre gli occhi scorrono tra le parole queste suonano di ricordi ciclistici, in voci che abbiamo sentito mille volte alla televisione e che per anni ci hanno raccontato scatti e cadute, vittorie e sconfitte, imprese e crisi.

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