Un 2018 in bicicletta
Dalla Sanremo di Nibali al mondiale di Valverde passando per pietre e esplorazioni alpine ad alta quota. Il meglio di quello che è successo quest'anno nel ciclismo
A ripensar quel che è stato appaiono fughe come da un bel po' non se ne vedevano, azioni che ne ricordano d'antiche, come se, a poco a poco, il ciclismo si stesse pentendo della modernità e si concedesse più di qualche excursus nostalgico. Quello che abbiamo visto è stato un 2018 sicuramente non banale, quasi sempre divertente a tratti spettacolare. Un anno capace di far tornare la voglia di mettersi davanti alla televisione, di tornare per le strade, perché a tornar indietro con la memoria in questi dodici mesi si accavallano e sovrappongono diapositive a cui è difficile dare un ordine estetico, classificarne la bellezza.
Certo ci sono state delle sberle mica da poco, delle lacrime che sono scese perché sembra assurdo poter ancora morire o rischiare di morire in bicicletta. Il cuore di Michael Goolaerts si è spento durante la Parigi-Roubaix, in uno dei primi tratti di pavé. Ha provato a lottare caduto di bici, non c'è stato nulla da fare. Quello di Michael Antonelli continua a lottare per avere ancora un domani dopo una caduta nella Firenze-Viareggio del 15 agosto. Quello di Samuele Manfredi, il diciottenne che lo scorso 10 dicembre era stato investito un macchina mentre pedalava in salita a Toirano, migliora ma ancora servirà del tempo per capire quando potrà riprendere la bicicletta. E poi ci sono i ciclisti che scorrono leggeri ogni giorno per le strade delle nostre città che quotidianamente rischiano di trasformarsi in nuove bici bianche a bordo strada. Qualcuno è rimasto sull'asfalto, cronache di morti annunciate che chi governa le nostre città continua a far finta di non vedere.
Al di là delle lacrime rimarranno fotografie che ci porteremo dentro per anni, perché esaltanti ed eccezionali, perché non comuni, perché sono state capaci di riportare il ciclismo alla sua dimensione migliore, quella della fantasia, dell'immaginazione, del sentimento.
Il meglio del 2018 nel ciclismo
Il meglio del 2018 è iniziato in una giornata di sole di marzo e ha preso le sembianze di un ragazzo di oltre trent'anni che continua a intendere il ciclismo come avventura e rivolta. Vincenzo Nibali alla Milano-Sanremo ha messo in pratica la sua rivoluzione perfetta, ha deciso che l'utopia non è soltanto un modello a cui ambire ma può essere pensata, studiata, infine applicata. La sua Classicissima è stata un concentrato di gambe e sentimento, una sfida vinta all'improbabile. Si è infuturato sulla salita del Poggio, ha dipinto la discesa come fosse un surrealista, al realismo invece si è piegato nel lungo piano finale: spingi che se no ti prendono, spingi e non pensare a niente se non a spingere. Sotto allo striscione d'arrivo di Sanremo ci è finito a braccia alzate, realizzando in questo modo un'impresa stupenda perché difficile da realizzare e, forse, concepire.
Anche l'algido Chris Froome si è affidato all'immaginazione per ribaltare un Giro d'Italia che i più pensavano avesse già perso. Lo ha fatto a suo modo, o meglio al modo del Team Sky, ossia studiando nei minimi particolari la follia di un salto nel vuoto. Il keniano d'Inghilterra si è fatto avanguardista di un viaggio montano che sembrava impossibile, primo e solitario per 80 chilometri tra le alpi Cozie e alpi Graie. In cima allo Jafferau ha conquistato la tappa, la maglia rosa, applausi infiniti e pure un pezzetto di storia di questo sport.
Un'altra impresa da lontano l'ha portata a termine Peter Sagan alla Parigi-Roubaix. Il tre volte campione del mondo ha deciso che per non rischiare di perdere serviva il colpo del maestro. L'ha trovato mettendo in pratica la mossa del tacchino a 54 chilometri dal traguardo, che poi altro non è che la mossa del cavallo esportata dagli scacchi sulle strade del ciclismo: il gesto che nessuno si aspettava. Sagan si è portato a casa il blocco di pavé piegando allo sprint le resistenze di un sognatore svizzero che per oltre duecento chilometri ha pedalato avanti a tutti, sperando in un intervento divino capace di bloccare lo slovacco. Non c'è stato e Silvan Dillier si è "dovuto" accontentare di un secondo posto che è comunque tanta roba.
Se Peter Sagan sapeva che prima o poi avrebbe vinto una Roubaix chi ormai pensava che non ci fosse più posto per lui sul gradino più alto di una classica del nord era un ragazzone olandese di oltre un metro e novanta e con una passione infinita per la fatica e la bicicletta. Niki Terpstra sette giorni prima dello slovacco era riuscito a conquistare il suo paradiso in un giorno freddo e umido come ce ne sono tanti in Belgio. Terpstra che ama le pietre ha conquistato il Giro delle Fiandre partendo sull'asfalto, difendendosi sui muri e amplificando la sua gioia lontano dal pavé. All'arrivo è arrivato solo e in preda a una gioia incredibile. "Non ci credo. E' successo davvero?", ha detto e ha chiesto dopo lo striscione. Sì Niki, è successo davvero.
E come Niki anche Alejandro Valverde si è fatto prendere da una gioia irrefrenabile dopo aver superato il traguardo di Innsbruck in prima posizione. Quasi non ci credeva, ma urlava e piangeva la sua soddisfazione dopo che per una intera carriera aveva provato a udire quello che stava sentendo: Alejandro Valverde è campione del mondo. C'è riuscito in una gara bruttina per centinaia di chilometri, trasformata in bellissima nei due giri finali, esaltata da un campione che ha sbagliato e si è redento, ha soprattutto messo sempre la passione e l'amore per la bicicletta al primo posto.
Ci sarebbero poi altre immagini e altre momenti da ricordare. Ci sarebbe da ripercorrere le prime due settimane e mezzo di Simo Yates al Giro d'Italia, il finale di stagione di Thibaut Pinot, le volate di Elia Viviani e il mondiale juniores di Remco Evenepoel. Queste cinque però bastano, perché altrimenti la nostalgia salirebbe a livelli da primato e invece c'è un 2019 da vivere.
P.s. Il 2018 è stato l'anno ventesimo dopo il doppio successo di Marco Pantani al Giro d'Italia e al Tour de France. Qui lo speciale di Girodiruota che ha ripercorso tappa dopo tappa quei tre mesi che hanno cambiato la storia del ciclismo.