Il ritardo dell'Italia sulla mobilità è sancito dalla proposta di riforma del Codice della strada
Per migliorare la sicurezza dei ciclisti è molto più utile l'introduzione del senso unico eccetto bici, il cosiddetto contromano, che rendere obbligatorio per legge il caschetto
Regolarizzare il consueto, avvicinarsi all'Europa. In Commissione Trasporti alla Camera si sta parlando di questo. Nessuna rivoluzione, sebbene le dichiarazioni lo facciano intendere. Sulle modifiche al Codice della strada in materia di biciclette ciò che colpisce non è tanto quello di cui si discute, quanto il ritardo con il quale si è iniziato a discutere. Non che sia una cattiva notizia, come si dice, meglio tardi che mai.
Così in Commissione si sta discutendo di senso unico eccetto bici, ossia il cosiddetto “andare contromano in bicicletta”, di “strisce di arresto avanzate”, ossia quelle caselle davanti alla linea di arresto delle auto ai semafori, della possibilità di percorrenza delle corsie preferenziali, e della possibilità di parcheggiare in aree adibite dal Comune o sui marciapiedi o all'interno delle zone pedonali. Norme che sono già entrate nel quotidiano di quasi tutti gli stati membri dell'Unione. L'Italia sconta un ritardo decennale (e più) in tema di mobilità e la riforma del Codice della strada, che in ogni caso non sono state ancora promulgate, potrebbe iniziare a colmare il gap.
Insomma, non c'è nulla di rivoluzionario. Basta osservare quanto succede ogni giorno nelle città dove le biciclette vengono utilizzato con maggior frequenza per capire come questa “rivoluzione” altro non sia che una semplice constatazione della realtà.
Si prenda il caso del senso unico eccetto bici. Non c'è alcuna follia, alcuna pazzia, alcun pericolo nel regolamentarlo, semplicemente perché questa norma non permetterà ai ciclisti di andare in senso opposto al flusso del traffico ovunque, ma soltanto dove i ciclisti non rappresentano un pericolo per loro stessi e per gli altri, ossia in quelle strade a bassa velocità (30 all'ora di limite) e a limitata percorrenza – i sensi unici appunto –, dove già è consueto trovarli.
Raccontò nel 2008 al Resto del Carlino Ugo Benassi, ex sindaco di Reggio Emilia tra il 1976 e il 1987, che “la politica non capisce che è assurdo vietare a una bicicletta di muoversi liberamente all'interno del centro storico di una città. Obbligare i ciclisti a seguire i sensi unici è il miglior modo per trovarsi strade ipertrafficate e peggiorare così sensibilmente la qualità della vita”. Per l'ex primo cittadino “le politiche da adottare per rendere più vivibili le nostre città dovrebbero andare unicamente in una direzione: cercare di favorire gli spostamenti in bicicletta”.
Contro la direzione indicata da Benassi si muove anche la volontà del governo di rendere obbligatorio l'utilizzo del caschetto per gli spostamenti in bicicletta. Per quanto il casco sia utile e sicuramente consigliato per la sicurezza di chi pedala, l'obbligo di indossarlo va contro quello che Jacob Buksti all’epoca ministro dei Trasporti della Danimarca tra il 2000 e il 2001 definì “necessità e modalità di intervento per gradi per il miglioramento della mobilità”. Secondo Buksti infatti “l'idea di rendere obbligatori sistemi di protezione per i ciclisti in contesti dove la ciclabilità non è diffusa, è controproducente per l'aumento dell'utilizzo della bicicletta. Viene fatta passare l'idea che il pedalare sia qualcosa di pericoloso e ciò è il peggior disincentivo all'utilizzo del mezzo. Non bastasse questo far credere che il casco sia la panacea per la sicurezza dei ciclisti è il modo migliore per deresponsabilizzare gli automobilisti. La buona amministrazione e la buona politica non può permettere che questo possa accadere: è facendo sì che chi guida sia consapevole della pericolosità del mezzo che le nostre strade possono diventare più sicure”. L'obbligatorietà del caschetto in Australia e in Nuova Zelanda non ha fatto abbassare il numero di morti nelle strade. I ciclisti hanno continuato a essere investiti dalle automobili e contro una macchina un casco non può fare nulla. Ben più incisive sono state le politiche nordeuropee che non hanno contemplato l'obbligatorietà, ma hanno puntato sulla responsabilizzazione di chi guida e sulla condivisione della strada tra ciclisti e automobilisti.
Inoltre l'ex sindaco di Utrecht sottolineava come l'obbligatorietà del casco e dei sistemi di segnalazione ottica (gilet o fasce catarifrangenti) “penalizzano o addirittura eliminano la possibilità di mettere in pratica forme di business o di servizi ai cittadini quali il bicinoleggio, il bike sharing e tutte quelle pratiche di condivisione di mezzi a pedali”.