Tutta la musica del Giro d'Italia
Tra bici punk, Sagan al microfono, maglie nere e gregari, Guido Foddis spiega perché ciclismo e musica sono due mondi vicini (e come sarà il Giro 102 su Girodiruota)
Quest'anno su Girodiruota il Giro d'Italia 2019 sarà raccontato musicalmente. Ogni tappa una canzone e ogni canzone una storia, quella che i corridori metteranno in scena correndo. Il perché di questa scelta, quella di trovare nella musica il filo conduttore del Giro 102, lo trovate qui sotto. Si chiamerà Musica in Giro e questa è l'anticipazione.
Sarà che è movimento, un modo di muoversi libero e all'aperto, a contatto con i suoni che ci stanno attorno, quelli che non riusciamo a udire intrappolati in una macchina. Sarà che è vento e quindi fruscio, lo stesso che produce un disco a contatto con la puntina. Sarà che è fatica e allora per non soffrirla troppo la mente è portata all'astrazione. Sarà per tutto questo o per quello che disse Roger Waters a proposito del primo disco dei Pink Floyd, The Piper at the Gates of Dawn, che "le canzoni sono soprattutto corpo e bisogna muoversi per arrivare al suono". Ma c'è un legame stretto, strettissimo, tra bicicletta e musica.
"La bici è punk. È il mezzo più punk che esiste", dice al Foglio Guido Foddis, cantautore ma non solo, anche scrittore, compositore, radiofonista, l'inventore del concerto a pedali (dove tutta l'attrezzatura dei musicisti è alimentato a gambe e biciclette), per brevità, direbbe Francesco De Gregori, chiamato artista. E ciclista. A pedali e al seguito del Giro d'Italia: dodici edizioni portate a termine, la tredicesima prossima a iniziare sabato da Bologna. "Talmente punk che se ci fossero ancora i Clash si andrebbe a vederli in bicicletta. Il taxi? è da milordino. L’autobus? se ti va bene, soprattutto a Roma, arrivi a metà concerto. È il miglior modo per arrivare in tempo a qualsiasi appuntamento.
Foto tratta dalla pagina Facebook di Guido Foddis
E il ciclismo, in quanto dimensione agonistica dell'andare in bicicletta, ha conservato questa fisionomia, "è ancora uno sport molto popolare, nel senso di popolo, era lo sport di chi non c’aveva soldi e ancora forse è così, perché lo si può fare con ogni mezzo, non serve avere una monoscocca in carbonio da migliaia di euro per pedalare, va bene pure un cancello rubato. È uno sport pop, e si avvicina quindi bene a tutta la musica popolare, dal rock al pop, passando per qualsiasi altro genere. Proprio per questo molte band, anche grandi, hanno cantato la bici". E il Giro d'Italia è, almeno nel nostro paese, la sublimazione di tutto questo. "È rimasto un evento pop, il più pop che c'è a livello sportivo, perché arriva sotto casa delle persone, affolla le piazze e le strade". E poi pedalare si presta all'ascolto di musica: "Innanzitutto la bici è uno dei pochi sport che si può fare ascoltando ciò che vuoi. Lo vedi il nuotatore che nuota con le cuffie? O il saltatore in alto o in lungo farlo mentre salta? Chi gioca a basket o calcio se ha le auricolari si fa male. Il ciclismo invece ti permette tutto questo. Metti una cuffia, con l’altro orecchio stai attento alla strada, e via. Solo facendo jogging puoi fare lo stesso, ma se corri per un’ora sei bravo, se arrivi a due sei un agonista, invece se inizi a pedalare puoi facilmente farlo per tre o quattro ore e in tre o quattro ore riesci a sentire un sacco di musica". Ogni pedalata il suo genere. "C'è chi si gasa col rock, chi con il pop. Non conosco ciclisti che ascoltano jazz o musica classica mentre pedalano, chissà se ci sono, faccio un appello a loro: se esistete palesatevi".
In questi ultimi dodici anni da inviato, o meglio "autoinviato", alla corsa rosa, Foddis è stato presenza fissa e unica nella carovana. Ha iniziato "seguendo Marzo Bruseghin con la Lampre", ha continuato parlando in radio e cantando e suonando in concerti a margine del Giro, scrivendo, interpretando la corsa a modo suo. "Un anno l'ho seguito al risparmio. L'obbiettivo era spendere meno di 250 euro, tra costi di viaggio, vitto e alloggio, per superare ventitré tappe. Avevo un appuntamento quotidiano su Radio Deejay nel quale informavo i radiospettatori di quanto avevo speso". Ne è uscito anche un libro: "Giro a sbafo. L'incredibile scommessa della Maglia Rosa in bolletta". Ha soprattutto narrato i giri dei campioni al contrario, di chi non trova le prime pagine dei quotidiani con le vittorie, dei gregari e, soprattutto, della maglia nera, l'ultimo classificato. "Quest'anno senza Fonzi e Coledan in corsa sarà una corsa apertissima, loro due avevano un grande attaccamento alla maglia nera, erano sensibili al suo fascino. Però Marangoni mi ha consigliato un giapponese della Nippo. Dice che ha dei numeri perché anche solo per fare il giro dei viali di Bologna ci mette 40 minuti".
Fosse musica il Giro 102 sarebbe "Amore di plastica di Carmen Consoli, per dare il benvenuto al Team Ineos" (terza più grande azienda chimica al mondo che ha rilevato quest'anno il Team Sky).
Quello dell'anno scorso che vinse Chris Froome è stato "il tema di Febbre da cavallo di Bixio, Frizzi e Tempera".
Guido Foddis la bici continua a pedalarla, il ciclismo a seguirlo e inseguirlo, la bici e il ciclismo a cantarli. "Pedalare ti apre la mente, ti fa pensare a cose a cui da seduto non si pensano e mai ti verrebbero in mente. Mentre pedalo non ascolto musica, ma mi vengono molte idee per musiche, testi delle canzoni, cose nuove da riproporre nei concerti. Per cui mi affretto a tornare a casa, salto la doccia e accendo subito il computer. E così appunto, elaboro, faccio diventare suoni le idee. Poi ci sono gli svantaggi. Il compositore in bicicletta deve puzzare, perché se si fa una doccia perde tutto, gli evaporano le cose buone a cui ha pensato".
Alla bici e al ciclismo c'ha dedicato un disco: La Repubblica delle Biciclette, un concept-album di diciotto tracce (più una). All'interno il debutto canoro di Peter Sagan. "Cantò in una canzone dell'album. Fu Alan Marangoni a consigliarmelo. Per fare la canzone sulla maglia rosa mi serviva un vincente, sarebbe stato poco credibile farla fare a un gregario. Arrivare ai campioni affermati però, mi dissero, che era difficile, troppi impegni, sponsor, eccetera. Così puntai sul futuro, sperando mi andasse bene. Peter era al primo anno di professionismo, andai a casa sua in Slovacchia il giorno di Pasqua per registrare, rimasi fuori casa sua al freddo e sotto la pioggia per un bel pezzo, poi mi fece entrare e andò tutto alla grande. Quando ora dico che Peter ha cantato in un mio disco però nessuno mi crede. Eppure è tutto vero, tutto documentato, tutto ascoltabile".
Un lavoro che prima di essere inciso è stato cantato a lungo. "Prima di fare il disco c’erano i concerti, il disco è nato dopo, forse perché era inevitabile che nascesse". Un percorso lungo un anno, da Giro d'Italia a Giro d'Italia: "Tutto nacque nel 2010, quando per la tappa Ferrara-Asolo il comune mi chiese qualcosa di originale per la festa cittadina che avrebbe preceduto la partenza dei corridori. La prima cosa che mi venne in mente era quella di fare un concerto con la band che pedalava sul palco, il modo migliore per unire musica e ciclismo. Erano tutti un po’ scettici, ma la cosa è andata in porto. La Repubblica delle biciclette è nata così, prima come un evento musicale, poi è diventato un contenitore di qualsiasi stramberia sul mondo del ciclismo, una serie di sketch sulla bicicletta, e una testata dove si tratta il ciclismo col sorriso. Infine il disco nel 2011. Per farlo ho cercato di coinvolgere un po’ di gente del mondo del ciclismo. Alan Marangoni, Tiziano Dall’Antonia, Davide Cassani, Marco Pastonesi, Alessandra De Stefano hanno subito accettato entusiasti".
Qualcosa che è stata possibile perché "il ciclismo italiano è ancora qualcosa di accessibile e i ciclisti italiani, a parte qualche eccezione, rimangono gente tra la gente". Forse perché "il ciclismo è ancora uno sport dove sopravvive una certa umanità, una certa vicinanza tra corridori e pubblico. Sopratutto nel caso dei gregari. La fortuna è che la Sky non è riuscita a egemonizzare il ciclismo in questi ultimi anni. Fossero tutti come loro avvicinare i grandi campioni sarebbe impossibile. Ricordo che una volta intervistai Richie Porte. Era il Giro del 2015 e quando mi avvicinai, mi chiesero di indossare i guanti sterilizzati per intervistarlo: volevano un ambiente asettico per evitare qualsiasi possibile contagio. Spiegavano che le vittorie sono la somma di tanti dettagli. Poi andò che si fece dare la ruota da un australiano che non era suo compagno di squadra e fu penalizzato. Ma tant’è".
Fortuna questi casi sono minoritari e non tutti i grandi corridori sono eremiti della socialità: "Ho avuto una passione per Michele Scarponi. Era il mio preferito da intervistare, era una sacca sicura di divertimento. Anche nei momenti difficili, duri, non si tirava indietro, aveva qualcosa da dire e lo diceva con grande umanità. Altri ciclisti mai banali erano Marzio Bruseghin, ogni dichiarazione era un Saturday Night Live, una specie di John Belusci in bicicletta. E poi Alan Marangoni, quando parlava diceva sempre qualcosa di intelligente e quando non diceva cose intelligenti ecco che si rideva moltissimo. E poi c'è Giuseppe Fonzi ha rivoluzionato la comunicazione del ciclismo, ha traghettato il giornalismo sportivo verso l’intrattenimento perché lui non è solo sport è intrattenimento. Ha un potenziale incredibile, potrebbe benissimo condurre un programma televisivo. L’anno scorso ha avuto un incredibile attaccamento alla maglia nera".
Qui trovate la playlist del Giro 102