Nelle mani di Miguel Angel Lopez

Lo scalatore colombiano sabato ha schiaffeggiato un tifoso che lo aveva fatto cadere. Ora l'Uci lo potrebbe squalificare. Perché le sberle del corridore dell'Astana dovrebbero essere quelle di noi tifosi

Giovanni Battistuzzi

Ce l'hanno insegnato sin dalla scuola materna: "Non alzare le mani!". Imperativo. Ce l'hanno ripetuto anche dopo: "Violenza chiama violenza". Avvertimento. Ce l'hanno detto anche a catechismo: "A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra". Dal Vangelo secondo Matteo. C'hanno spiegato in televisione: "Uno sportivo deve essere un esempio di rettitudine". Parola di Nicolò Carosio. Il concetto è chiaro: "Nessun gesto violento può essere giustificato e giustificabile", firmato Juan Antonio Samaranch, presidente del Cio dal 1980 al 2001. È scritto pure nero su bianco: "Aggressione, intimidazione, abuso, minacce e comportamento sconveniente diretto contro un'altra persona (compresi gli spettatori), sono puniti con una multa da 500 a 2.000 franchi svizzeri, da 10 a 100 punti penalità Uci ed, eventualmente, con sospensione o squalifica". Regolamento dell'Union cycliste internationale.

 

Tutto chiaro, tutto per bene, tutto moralmente ed eticamente corretto. Per tutto questo Miguel Angel Lopez verrà sanzionato. Sicuramente pecuniariamente, sicuramente con una sottrazione di punti, probabilmente con una squalifica (da vedere se verrà anche escluso ex post dalla corsa). L'Uci sta analizzando il caso, sta valutando le attenuanti che, dicono a Aigle, "non ci sono", almeno per la parte più dura e intransigente della Commissione disciplinare.

 

Il comportamento da sanzionare è quello di sabato, ventesima tappa del Giro d'Italia: sulla salita di Monte Avena il colombiano della Astana aveva preso a schiaffi il tifoso che lo aveva disarcionato di sella facendolo cadere. La giuria della corsa rosa non aveva sanzionato lo scalatore, l'Uci pare di diverso avviso.

  

 

Il porgi l'altra guancia è un messaggio nobile. Il violenza chiama violenza è una tautologia meritevole di essere tenuta a mente. Il non alzare le mani un insegnamento sacrosanto. Eppure le mani di Miguel Angel Lopez erano le nostre mani: quelle di noi tifosi che vanno in bicicletta, che sanno cosa vuol dire soffrire su di una sella e soprattutto in salita, quelle di noi pedalatori della domenica per cui la bici è passione, un amore misterioso, non sempre facilmente comunicabile. Le mani di Miguel Angel Lopez potranno essere anche sanzionate e squalificate, ma non potranno essere nascoste. Perché sono quelle di chi va in bici ogni giorno, che subiscono i soprusi della strada, la violenza degli automobilisti disattenti.

 

Le mani di Miguel Angel Lopez dovrebbero anzi essere quelle di noi tifosi che ci affolliamo sulle salite, che battiamo le mani, che usiamo il buon senso accanto a ragazzi che su una bici faticano e lavorano. Perché se passa l'abominevole idea di chiudere le salite, di rendere le ascese dei luoghi chiusi, "aperti" soltanto a chi paga un biglietto, allora il ciclismo perderà la sua prerogativa principale, quella di essere uno sport di tutti. Perché se si criminalizzano i tifosi, se si fa coincidere il concetto di stolto con quello di appassionato di ciclismo, a rimetterci saremo tutti noi che pur di vedere uno spettacolo di qualche secondo restiamo ore sotto il sole o la pioggia, nel vento e nella neve. E questo sarebbe molto più doloroso di due schiaffi dati per frustrazione.