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Froome è caduto e dovrà rinunciare al Tour de France

Giovanni Battistuzzi

La delusione per l'abbandono del progetto di conquistare la quinta maglia gialla in carriera potrebbe paradossalmente essere per Chris ancor maggiore a fine luglio. E in molti cambieranno il giudizio sul suo conto 

L'abbandono di un progetto al quale si è lavorato a lungo è di per sé un avvenimento traumatico. E questo indipendentemente dal fatto che questo sia qualcosa di realizzabile o una semplice utopia. Ancor peggio va quando è un muro, sia esso metaforico o fisico, a provocare la rinuncia. Chris Froome l'ha incocciato stamane questo muro. Un muro reale sul quale si è scontrato in discesa, sul quale ha lasciato un po' di carne, un femore (forse, sono in corso accertamenti) e un Tour de France, quello per il quale aveva sacrificato la difesa della maglia rosa conquistata un anno fa, quello che poteva essere il quinto, ossia storia a pedali, cifra limite per i grandi interpreti delle tre settimane (almeno da quando il ciclismo ha deciso di cancellare Lance Armstrong dal suo passato).

 

Il keniano d'Inghilterra pedalava fuori Roanne, città dalla quale è partita e nella quale è arrivata la quarta tappa del Giro del Delfinato (l'ha vinta Wout Van Aert, che pure a cronometro ha deciso di dimostrare la sua classe), provava il percorso sul quale aveva deciso di iniziare la caccia a quella maglia gialla che è sì meno scintillante di quella della Grande Boucle, ma è pur sempre una gran bella dichiarazione d'intenti. Un modo, il migliore, per far crescere l'ansia negli avversari.

 

 

"Sembra che abbia tolto una mano dal manubrio per soffiarsi il naso e, causa il vento, abbia perso il controllo della ruota anteriore colpendo così un muro a 60 chilometri all'ora o qualcosa del genere", ha detto Dave Brailsford, il general manager del Team Ineos. Brailsford conferma che Froome "ha parecchie ferite e forse una brutta frattura, ma ancora da confermare, non è in ospedale. Stiamo aspettando il trasporto aereo per Saint-Etienne o forse Lione".

 

La delusione per l'abbandono del progetto Tour potrebbe paradossalmente essere per Chris ancor maggiore a fine luglio. Perché se i suoi piani si sono fermati contro quel muro scendendo da Saint-André-s'Apchon, quelli della Ineos dovranno per forza continuare. E nei progetti di Brailsford e compagnia c'è una nuova Grande Boucle da conquistare. E questo indipendentemente da Geraint Thomas. Perché il progetto "vittorie agli inglesi" che aveva animato i primi anni del Team Sky, ha lasciato il posto al "vincere" e basta. Perché negli ultimi anni il Team Sky, ora Team Ineos, ha pensato bene di radunare parte della meglio gioventù del ciclismo mondiale e dosarne il talento in modo da preparargli al meglio al successo. Perché sanno di avere Egan Bernal (e non solo) in rampa di lancio, ossia uno dei più forti scalatori in circolazione al quale hanno insegnato a difendersi molto bene pure a cronometro. Perché Brailsford e compagni sanno pianificare come pochi le corse da tre settimane, i carichi di lavoro, la gestione delle risorse (specialmente in vista del Tour). E se anche l'inconveniente accade, come è già accaduto prima del Giro (proprio Bernal si è fratturato la clavicola in allenamento), riescono a trovare la carta giusta per essere protagonisti: si pensi al passaggio di consegne tra Wiggins e Froome e l'anno scorso tra Froome e Thomas.

 

In tutta questa capacità di programmazione però si sono dimenticati di una cosa essenziale. A volte una svista può scompigliare tutto, trasformando ogni cosa.

 

Bradley Wiggins dopo il Tour vinto nel 2012 era diventato per gran parte del pubblico il nemico pubblico numero uno, perché è assurdo e impossibile, si diceva, che un pistard potesse portare la maglia gialla a Parigi. Anni dopo e dopo le polemiche del Sir contro la sua ex squadra, gran parte di questo astio è diventato amore. Succederà anche per Froome qualora si trovasse sostituito da Bernal?

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