Foto tratta dal profilo Facebook dell'UAE-Team Emirates

Tadej Pogačar, la Vuelta e l'arte di stupirsi

Giovanni Battistuzzi

Il ventenne sloveno da sabato correrà il suo primo grande giro. Parte come gregario, potrebbe essere la sorpresa della corsa a tappe spagnola

"Začudenje je simptom inteligence". Un scritta come tante su di un muro come tanti. La si trova a due passi dal mestni park Tivoli di Lubiana, in una viuzza a qualche centinaia di metri dalla Galleria d'arte moderna della capitale slovena. Tradotta suona più o meno così: "Stupirsi è sintomo di intelligenza".

 

Al mestni park Tivoli di Lubiana, davanti al Castello di Tivoli, sino a qualche anno fa si concludeva una corsetta ciclistica per ragazzini. Si correva su di un circuito cittadino: dieci giri per le vie della città prima degli ultimi due chilometri e spicci dentro il parco. Un giorno di sette anni fa, tra i viali contornati di castagni si presentarono in tre. Vinse un ragazzino con la faccia piena di brufoli che in bicicletta c'era salito solo per far contento il padre e che la lasciò in garage un anno dopo nonostante dicessero fosse un fenomeno. Alle sue spalle arrivò un biondino che nessuno sapeva chi fosse. Si guardava attorno e quasi non ci credeva di essere arrivato secondo. Anni dopo, a un giornalista disse che quel giorno mai si sarebbe aspettato di essere tra i primi. "Ero sorpreso. Quando ero partito avevo solo un obbiettivi: finire la corsa. Non ero riuscito ad allenarmi bene perché era un periodo pieno di impegni scolastici. Mai avrei pensato di finire secondo. Ero contentissimo".

 

Si può essere felici per un secondo posto solo quando la delusione per la sconfitta è inferiore allo stupore per qualcosa di insperato. Tadej Pogačar quel giorno sorrideva con la faccia incredula. Era il secondo anno che correva. Era salito su di una bici perché il fratello c'era salito prima di lui e "io volevo fare tutto quello che faceva lui. Poi lui ha smesso, per fortuna io invece ho continuato", ha detto a siol.net. Nel primo anno le cose erano andate male. "La prima gara che è corso è stata davvero difficile: sono arrivato ultimo, quarantesimo su quaranta ragazzi. Poi in tutta la stagione ero riuscito arrivare al massimo quindicesimo, il mio miglior risultato", ha detto a CyclingTips. Quando si presentò sotto i castagni del mestni park Tivoli erano però già oltre dodici mesi che si affannava sui pedali. "È stato nel mio secondo anno che ho vinto la mia prima gara. È da quel giorno che ho iniziato davvero a divertirmi con il ciclismo".

  

Tadej Pogačar ha vent'anni e non ha smesso di divertirsi. "Pedalare è una gioia, la cosa migliore che ho provato". E non ha mai smesso neppure di stupirsi. Gli accade spesso. È successo quando un anno fa ha conquistato il Tour de l'Avenir, un Tour de France in miniatura un tempo per i dilettanti, ora per gli under 25: "Cosa provo? Stupore. Certo era il mio obiettivo stagionale, ma non mi sarei mai aspettavo di vincere. Mi ero preparato bene ma la speranza era quella di entrare nei primi cinque, mi ha sorpreso conquistare la corsa", ha detto a Rouleur. È successo quando ha firmato il suo primo contratto professionistico con la UAE-Team Emirates: "E chi l'avrebbe mai detto che potesse accadere davvero". È successo ogni volta che ha vinto quest'anno. A Fóia alla Volta ao Algarve. In cima al Mount Baldy al Giro di California. Entrambe corse che ha chiuso al primo posto della classifica generale. Al primo anno tra i pro.

 

 

Tadej Pogačar per ora si è fatto le ossa in breve corse a tappe. Si è smaliziato al Giro dei Paesi baschi, poi nelle classiche delle Ardenne: Amstel Gold Race, Freccia Vallone, Liegi-Bastogne-Liegi. Ha alzato le braccia al cielo due volte e per due volte si è portato a casa la maglia di leader dei una corsa. Si è piazzato sempre. "Vincere una tappa non è poi così importante. I giri si corrono un giorno dopo l'altro e un giorno dopo l'altro devi non farti staccare. Si deve evitare di perdere e quando si ha la possibilità di guadagnare. È come in cucina, bisogna conoscere gli ingredienti e sapere i tempi di cottura", ha detto alla tv slovena qualche tempo fa. E Tadej Pogačar stare in cucina gli piace e, dicono, se la cava bene.

 

Lo sloveno è uno che a vent'anni sa attendere e fare di calcolo. Uno che, dice Neil Stephens (direttore sportivo della UAE-Team Emirates), "ha una calma sorprendentemente. È giovane, è ambizioso, sa dove può e deve migliorare e lo fa giorno dopo giorno. È bello vedere che un ragazzo così giovane si è inserito tra i migliori corridori del mondo rimanendo tranquillo, come se questo fosse la cosa più normale del mondo". D'altra parte Pogačar è uno che all'angoscia preferisce l'analisi: "Non mi importa troppo se perdo. Capita. Anzi è meglio, mi fa capire quali sono i miei limiti, mi aiuta a capire dove posso migliorarmi".

 

Tadej Pogačar da sabato correrà la Vuelta. Nella sua prima corsa a tappe di tre settimane si metterà ai servizi di Sergio Henao, capitano della UAE-Team Emirates, o forse di Fabio Aru, volenteroso di ritrovarsi correndo, di capire a che punto è e soprattutto che corridore potrà essere. Sarà la strada a deciderlo. La stessa strada che è da sette anni che continua a stupire Pogačar. E chissà se il suo stupore sarà anche quello degli appassionati.

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