La Vuelta rock&roll di Sergio Higuita
Lo scalatore colombiano a 22 anni prenderà il via alla sua prima corsa a tappe di tre settimane. Con un obbiettivo: “Voglio essere una leggenda”
"You are young and life is long and there is time to kill today / And then one day you find ten years have got behind you / No one told you when to run, you missed the starting gun”.
Nessuno gli ha mai detto quando correre eppure lui non si è perso lo sparo di partenza. Lo ha addirittura anticipato. I grandi palcoscenici ciclistici Sergio Higuita li avrebbe dovuti attraversare solo dal 2020, quando, almeno nei piani, avrebbe dovuto vestire la maglia rosablu dell’EF. Ma Sergio Higuita ha ascoltato e ascolta i Pink Floyd e sa bene qual è il messaggio di Time. Per questo ha accelerato, per questo si è preso quello che doveva prendersi scompaginando i piani di chi, pur credendo in lui, aveva deciso di aspettare. D’altra parte “nel ciclismo non si aspetta, nel ciclismo si scatta. Se qualcuno ti viene dietro vuol dire che non si è scattati abbastanza forte”. La faceva facile Charly Gaul, ma chi è il più forte, almeno in salita, la fa sempre facile. Chissà se Sergio Higuita conosce le imprese di Gaul, se il fascino dell’Angelo della montagna è arrivato anche in Colombia. Quello che è certo è che lo scalatore ha messo in pratica tutto ciò. È scattato ogni volta che poteva, è scattato a mani basse sul manubrio e a mani basse sul manubrio si è già preso, a ventidue anni, vittorie, soddisfazioni, la convocazione per la Vuelta a España che parte oggi da Salinas de Torrevieja con una cronometro a squadre.
Dice lo scalatore colombiano che in Spagna ci andrà senza pressioni, per provare l’effetto che fa correre un grande giro, per capire, pedalando, qual è la sua dimensione. Nessun obbiettivo prestabilito, se non quello di fare esperienza. Magari qualche fuga per assaggiare cosa si prova in testa al gruppo. Magari un po’ di gregariato d’alta quota in favore dell’altro astro nascente colombiano, Daniel Martinez, più vecchio di lui di un anno ma già da tre anni e mezzo in Europa, oppure del capitano e idolo Rigoberto Urán. Rigo non lo conosceva, fu il general manager della sua squadra, Jonathan Vaughters, a parlargli di lui. Quando lo vide correre in Colombia con la maglia della Manzana Postobon telefonò al suo capo e gli disse una cosa soltanto: “Prendilo”. Vaughters lo prese. Perché forse di scalatori con uno scatto che è una fiammata e la capacità di aumentare a ripetizione la velocità ne esistono, ma capaci di fare la differenza anche in discesa non ce ne sono molti in giro. Un lascito della sua formazione nei velodromi, università ciclistica che insegna come si guida una bicicletta. E non ce ne sono molti in giro nemmeno in grado di considerare il ciclismo una sfida con se stessi e non soltanto contro gli avversari. “È uno che vive ogni giorno per pedalare, che non gliene frega niente di quanto deve faticare. È della vecchia scuola, uno che ha molto rispetto per i vecchi bastardi scontrosi come me”, ha detto il manager a CyclingTips.
Proprio per questo Vaughters ha deciso di metterlo alla prova. L’ha portato in Europa, l’ha fatto firmare con il team continental Fundación Euskadi (serie C del ciclismo) per togliergli qualsiasi pressione. La promessa era questa: “Fai un anno qua, dimostra di essere un corridore e poi passi con noi”. L’accordo con la squadra presieduta da Mikel Landa, corridore basco della Movistar, è stato semplice da trovare. Così come è stato semplice per i baschi verificare le capacità incredibili del ragazzo. Talmente lampanti da far superare in un attimo lo scetticismo che era scaturito al suo arrivo a Bilbao. Higuita si era presentato senza maglie da allenamento, con delle scarpe rotte e vecchie di dieci anni e una borsetta con qualche vestito e qualche mutanda. Il resto l’aveva dato ad alcuni ragazzi che si allenavano con lui. “Lì mi hanno aiutato molto. Quando ho qualcosa lo distribuisco a loro. Tanto le squadre dove corro mi danno tutto ciò di cui ho bisogno”, ha detto all’Espectador.
A Higuita d’altra parte servono poche cose per essere contento. Una bici innanzitutto. E poi la sua musica: Ac/Dc, Pink Floyd, Rolling Stone, insomma “tutto ciò che mi dà carica”. Quando si allena canticchia e se la gode al pensiero che “se c’è gente che è riuscita a scrivere certe canzoni tutto è possibile. Basta avere le idee chiare su quello che si vuole fare”. E Higuita le idee chiare ce le ha. “Ho sempre detto ai miei genitori che volevo correre i tre grandi giri. Ora il sogno diventato realtà, sono troppo felice”, ha detto all’edizione colombiana di As. “Vorrei diventare ciò che René (Higuita, ex portiere della Nazionale della Colombia ndr) è stato per il calcio nel mio paese”. Insomma, “voglio essere una leggenda”.