La bici oltre la guerra civile. Il Mondiale di Nazir Jaser
Il trentenne è arrivato penultimo nella prova a cronometro a Harrogate. È scappato dalla Siria nel 2015 dopo aver vinto il titolo nazionale, è campione siriano in carica da allora, è tornato in sella a Berlino quasi un anno dopo
Quando il 16 giugno del 2015 Nazir si fermò qualche decina di metri dopo lo striscione del traguardo posto sulla pista d'atterraggio dell'aeroporto militare di Tartus, in Siria, e, mentre scendeva dalla bici, gli dissero che aveva stabilito il miglior tempo, gli fu subito chiaro che quella non sarebbe mai stata una vittoria come le altre. E non perché quel giorno si correvano i campionati nazionali siriani. E nemmeno perché quella era la seconda vittoria in due giorni, la doppietta più ambita: cronometro-gara in linea, i colori della propria nazione da esibire in ogni corsa (il vincente dei campionati nazionali può vestire la maglia celebrativa solo nella disciplina nella quale ha vinto). Non sarebbe mai stata una vittoria come tutte le altre perché sarebbe potuta essere l'ultima: Nazir Jaser sapeva già che sarebbe scappato dal suo paese, la Siria.
La guerra civile sembrava non avere fine, la sua città, Aleppo, era un cumulo di macerie, da Damasco era stato allontanato perché era diventato impossibile allenarsi e anche a Tartus ormai sembrava non esserci più posto per lui. D’altra parte i soldi per pagare le trasferte delle gare all’estero erano finiti dopo il Tour dell’Iran e la Federazione aveva fatto capire che non ce ne sarebbero stati altri. E poi diversi allenatori della Federazione erano stati già chiamati alle armi, così come qualche suo amico e compagno di squadra: il suo turno sarebbe arrivato presto.
Qualche giorno dopo quel campionato nazionale Nazir e altri tre colleghi uscirono per il solito allenamento. Questa volta però con uno zaino in spalla. Dentro qualche cosa da mangiare, un po’ di vestiti. Al confine con il Libano il gruppo si incontrò con un tizio che aveva promesso loro tremila dollari a bicicletta. Scesero di sella, si cambiarono, si fecero dare un passaggio verso il luogo prestabilito e da lì salparono su un barcone con altre quarantacinque persone dirette verso la Grecia.
È dal 16 giugno 2015 che Nazir Jaser è campione siriano di ciclismo in carica. È dal 16 giugno 2015 che però non si corre più una gara ufficiale nel paese e la sua vittoria è come se non esistesse, perché “quella maglia non l’ho mai vestita, l’ho lasciata in Siria come tutto il resto, forse come gran parte della mia vita”, ha detto alla Deutsche Welle alla vigilia della prova a cronometro dei mondiali di ciclismo 2019, quelli che si stanno correndo nello Yorkshire in questi giorni.
Perché Nazir Jaser ha solcato le onde del mare, ha camminato centinaia e centinaia di chilometri tra i boschi della Grecia e della Serbia, ha sfruttato passaggi di fortuna, si è nascosto in treni, ha superato confini a lui preclusi, è stato spedito in Austria e poi in Germania dalla Croce Rossa, ma non ha mai voluto abbandonare la sua grande passione, “il senso della mia vita: pedalare”.
Su di una bici, dopo quasi sei mesi di viaggio, Nazir Jaser s’era rimesso a pedalare a Berlino. L’aveva fatto perché era il meglio che sapeva fare, perché, in fondo, era il miglior lasciapassare per provare a non essere considerato solo un numero, un migrante da collocare, ma una persona. Si presentarono al Velodrom, nel quartiere di Prenzlauer Berg, telefonino alla mano raccontarono la loro storia a Dieter Stein, un ex corridore della Germania dell'Est ora a capo della struttura, chiesero qualche bici e la possibilità di correre. L’ex nazionale della DDR li fece entrare, provò a prendersi cura di loro, raccimolò sponsor e solidarietà. Ma erano pur sempre richiedenti asilo e non fu facile riportarli alle corse. Anche perché un conto era dare un posto da dormire a tre atleti, un altro era farli correre. Frank Röglin, il presidente di uno delle più antiche formazioni di ciclismo di Berlino, la Luisenstadt 1910, sapeva bene che un corridore per correre deve avere tempo d’allenarsi e per riposare, mezzi per allenarsi e soprattutto cibo. E sapeva ancor meglio che un atleta di cibo ne ha bisogno in quantità maggiore di una persona normale. Ci vollero mesi per rimetterli in condizione di capire le loro potenzialità.
Così per prima cosa trovò loro un mestiere, poi provò le loro abilità su pista, dietro a un derny (le motorette che vengono usate in una specialità del ciclismo su pista). A Rouleur Röglin ha raccontato che Jaser tenne per quasi mezz’ora i 65 all’ora. Gli disse: “Il nostro campione nazionale pedala dietro derny per un'ora a 68 km/h, non male ragazzo”.
Era l’ottobre del 2016 quando ottenne un contratto dilettantistico con la Luisenstadt 1910. A giugno del 2017 ritornò a correre in una gara del calendario Uci, a settembre riuscì ad avere una licenza speciale per poter correre i Mondiali a cronometro con la maglia della Siria: si classificò cinquantaesimo su sessantacinque partiti.
L’anno scorso per problemi lavorativi (e fisici) dovette rinunciare ai campionati del mondo. Quest’anno Nazir Jaser – che corre per il Team Paintrain – è tornato: ancora cinquantaseiesimo, ma su cinquantasette partiti, penultimo all’arrivo a oltre ventiquattro minuti dal vincitore Rohan Dennis. Ma con un maglia sbrindellata e il fianco sgrattuggiato da una caduta.
“Sono arrivato comunque, non potevo non arrivare. I graffi e le botte si curano, un ritiro ai Mondiali è decisamente peggio. Sono arrivato penultimo? Poco male. D’altra parte sono l'unico dilettante vero a questo campionati del mondo. Lavoro tutti i giorni a Berlino e la sera mi alleno, a vincere non sarei comunque riuscito”, ha detto alla radio tedesca.