Il rispetto che manca nelle strade italiane
Il 23 febbraio 2020 a Roma c'è #Rispettiamocinstrada, manifestazione per sensibilizzare gli automobilisti al rispetto di chi va in bicicletta. La Federazione ciclistica si accorge dell'evento. Continuerà a ignorare i reali problema delle nostre strade?
Gli occhi si allargano, gli zigomi si alzano, il viso si tira in un'espressione tra lo sbigottito e il sorpreso, ma di una sorpresa che sa di pietà e incomprensione. È questo molto spesso ciò che si trova davanti chi si muove in bici nelle città italiane dice a chi non si muove in bici che “in città mi muovo in bicicletta”, oppure “la macchina non ce l'ho, non mi interessa, vivo bene lo stesso”. Lo sguardo che si ha davanti è quello di chi ha visto un alieno. Di alieni però ce ne sono molti. E sono in crescita, forse non quanto chi pedala desidererebbe, ma pur sempre qualcuno in più dell'anno prima. Quello dei ciclisti urbani è un mondo composito, complesso, fatto di anime e storie diverse. È un insieme di universi differenti che a volte seguono strade diverse ma che hanno tutti chiaro in mente dove vogliono arrivare: a pedalare in strade (e in città) meno omicide, nelle quali non ci si debba più sentire in pericolo per aver preso la semplice decisione di pedalare invece che chiudersi in una scatola di latta con quattro ruote.
Ogni tanto questi mondi diversi decidono di unirsi per far sentire la propria voce. È successo diverse volte in passato, succederà di nuovo il 23 febbraio 2020. A Roma. Davanti al Colosseo. Si chiama #Rispettiamocinstrada, perché questo è quello che chi va in bicicletta chiede: rispetto. Essere considerati parte del flusso e non intralcio, qualcosa da abbattere, come diversi animali da social e volante vorrebbero. Rispetto, nient'altro. Che le strade siano un luogo di movimento e non di rischio continuo, che non si senta più quella giustificazione ignobile “non l'ho visto”, quella che spesso, troppo spesso, esce di bocca a chi ha investito qualcuno, ciclista o pedone che sia.
#Rispettiamocinstrada è un appuntamento di tutti e per tutti. È un'unione di associazioni che l'ha inseguito, voluto, supportato, organizzato. E un'unione deve restare, perché chi pedala lo sa bene che quando sulla propria via incontrerà un momento di difficoltà, ci sarà un altro ciclista pronto ad aiutare. La bicicletta è un mezzo di locomozione di vicinanza: avvicina i luoghi senza isolare le persone da ciò che accade loro attorno. Ci sono oltre centottanta associazioni e persone ad aver promosso l’iniziativa. Da Rete Vivinstrada a Salvaiciclisti, dalla Fondazione Michele Scarponi Onlus alla Fondazione Luigi Guccione Onlus, dalla Sar Lazio alla Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada. Tutte realtà che, sotto il nome “I Cittadini della Strada”, hanno firmato il documento programmatico che è stato inviato alla Presidenza della Repubblica da Alfredo Giordani, rappresentante della Rete Vivinstrada, insieme ad Alessandro Malagesi (delegato del settore amatoriale del Comitato Regionale Federazione ciclistica italiana del Lazio) – qui trovate l'appello.
L'ottimo lavoro fatto (tra gli altri) da Malagesi però forse non è stato compreso del tutto da chi guida la Fci. “Quando ho saputo dai dirigenti del Comitato regionale del Lazio dell’idea di Alessandro Malagesi, delegato del settore amatoriale dello stesso comitato, e dell’entusiasmo che questa in poco tempo è riuscita a suscitare, li ho invitati a proseguire a nome di tutta la Federazione, anche superando le inevitabili divergenze e nel più ampio spirito unitario”, ha detto in una nota il presidente della Federciclismo Renato Di Rocco. Perché se è vero che il delegato regionale del Lazio c'ha messo l'impegno e la faccia, non è però il solo. E di questa comunità Di Rocco non fa accenno, come segnala il direttore responsabile di Bikeitalia.it, Manuel Massimo.
La dimenticanza, se dimenticanza è stata, non è da poco. Anche perché in questi anni la Federazione non è stata molto attenta alle richieste di attenzione (e di sicurezza) avanzate da ciclisti urbani e professionisti, da associazioni e amatori. Anche perché le recenti iniziative federali hanno portato alla realizzazione di “una normativa specifica per la realizzazione di spazi sicuri dove praticare ciclismo, sia in allenamento che in gara”, alla volontà di “aumentare l’utilizzo delle protezioni come il casco o le pettorine che contribuiscono ad aumentare la visibilità dei ciclisti, essenziale per la sicurezza in bicicletta” e a portare avanti “tutte quelle proposte a livello legislativo che mirano ad aumentare la sicurezza, dalla proposta di legge per 1,5 metri, portata avanti insieme all'Associazione Corridori Ciclisti Professionisti, alla riscrittura del nuovo codice della strada”. Un regolamento che vorrebbe, come massimo sforzo per tutelare i ciclisti, “rendere obbligatorio l'utilizzo del caschetto per gli spostamenti in bicicletta”. Che il casco sia utile non c'è nessun dubbio. Che debba essere obbligatorio per assicurare sicurezza ai ciclisti che si muovono in strada è quantomeno discutibile. Qui abbiamo spiegato perché. E qui sotto Loreto Valente fa ancora meglio:
Tutto ciò è un po' poco rispetto a quello che una Federazione potrebbe fare. La speranza è che qualcosa si possa muovere davvero e chi pedala ogni giorno, dai ciclisti professionisti che reclamano attenzione – come Alessandro De Marchi e Letizia Paternoster – ai ciclisti urbani vengano finalmente ascoltati.