Girodiruota
Il tempo di stoppare tutto, riprogrammare e ripartire
Mentre si continua a correre la Parigi-Nizza, il coronavirus ha causato il rinvio di molte classiche del nord, oltre alle corse del calendario italiano. Anche il Giro è a rischio. Il coraggio che manca all'Uci
Mentre Niccolò Bonifazio a La Côte-Saint-André regolava con uno sprint potente e intelligente Ivàn Garcia Cortina e Peter Sagan nello sprint conclusivo della quinta tappa della Parigi-Nizza, arrivava da qualche centinaia di chilometri più a nord che non si correrranno Nokere-Koerse, Koksijde Classic, Driedaagse Brugge-De Panne, E3-Classic e la Gent-Wevelgem. I 314 casi di positività al coronavirus sinora riscontrati e la morte di tre persone, hanno fatto decidere alla Federazione belga e al governo di sospendere il loro calendario ciclistico almeno sino al primo di aprile. Marzo e aprile sono due "mesi sacri" in Belgio, è il tempo delle corse sui muri in pavé, il periodo più atteso dell'anno. Il Giro delle Fiandre è la grande festa nazionale del popolo fiammingo, un'evento imperdibile, una liturgia che si è fermata soltanto durante la Prima guerra mondiale, ma era corsa giovane. Nemmeno la Seconda guerra mondiale era riuscita a bloccare le biciclette. Biciclette che però potrebbero stare ferme.
L'Italia era stato il primo paese a bloccare le grandi corse ciclistiche: rimandate a data da destinarsi Strade-Bianche, Tirreno-Adriatico, Gran Premio Industria e Artigianato di Larciano, Giro di Sicilia e Milano-Sanremo. Non proprio corsette. E pure il Giro d'Italia rischia di slittare. Il direttore della corsa rosa Mauro Vegni ha dichiarato a CyclingNews che "aspetteremo sino alla fine del mese per vedere cosa succede", ma, ha aggiunto, stanno già cercando un'altra data per salvare la corsa. Anche la Spagna ha congelato il suo calendario almeno sino ai primi di aprile, così come avevano fatto Portogallo, Slovenia e Olanda, oltre al Tour de Normandie, in Francia, per iniziativa propria.
A oggi si correrà solo in Francia, Turchia e Giappone, mentre da Aigle, Svizzera, sede dell'Union Cycliste Internationale (Uci) un silenzio confuso attraversa tutta Europa. Sinora il presidente David Lappartient si è limitato a dire a Reuters che "cancellare Giro d'Italia e Tour de France a causa del coronavirus sarebbe un disastro per il nostro sport". Ed su questo ha ragione Lappartient: cancellare Giro e Tour sarebbe un disastro. Lo stesso a cui il ciclismo sta andando incontro nel lasciare tutto così com'è, ossia dando "ai vari paesi la possibilità di decidere sul correre o meno".
Far saltare gare di interesse economico minore e provare a salvare a qualsiasi costo le grandi corse è qualcosa, almeno in un momento di pandemia mondiale, come dichiarato ieri dall'Oms, che potrebbe fare male a questo sport. E non è soltanto una questione di immagine. Sarebbe qualcosa di ingiusto.
Ingiusto verso i corridori in primis. Perché qualcuno sta correndo, mettendo chilometri nelle gambe e abitudine al ritmo di gara, mentre qualcun altro, pur potendo formalmente, ha deciso di non allenarsi nemmeno in strada per evitare di non peggiorare una situazione sanitaria già compromessa. E non sono solo ciclisti italiani, ma anche corridori stranieri che risiedono e macinano chilometri nel nostro paese.
Ingiusto verso i tifosi che si ritroverebbero ad assistere, forse (perché bisognerà vedere quando si "apriranno le porte" al pubblico), a corse prive di alcuni corridori perché non liberi di muoversi e con altri non al meglio delle loro possibilità fisiche.
Ingiusta soprattutto verso la storia di questo sport, che è una storia di resistenza a tutto e a tutti, ma è anche sempre stato un collante per il paese, un modo di dimostrare che qualsiasi cosa, per quanto dolorosa, la si può superare.
L'Uci ha davanti una scelta: salvare il calendario o salvare sé stessa e il ciclismo. C'è bisogno però di una scelta, del coraggio di dire ci prendiamo una pausa, di attendere il superamento dell'emergenza e intanto lavorare per ridisegnare completamente il programma delle corse.
L'Uci può farlo, bisogna capire se ne avrà la voglia e il coraggio.