Quando Franco Ballerini si prese la Parigi-Roubaix

Venticinque anni fa il Ballero alzò per la prima volta al cielo di Roubaix il blocco di pavé riservato al vincitore. Una danza da rivedere: ecco la telecronaca integrale della corsa

Giovanni Battistuzzi

Quel giorno poteva non esserci. "Mai più" aveva detto due anni prima. E per un po' di tempo ci aveva pure creduto. Poi la primavera s'era fatta estate e l'estate autunno e l'inverno era scivolato via lontano da tutto il clamore e la pesantezza dei ricordi. Ma non dalla bicicletta. Era stata la bici a surrurargli che un grande amore non si lascia per via di uno screzio da niente. E una vittoria mancata, anzi gettata, è soltanto uno screzio da niente, almeno per uno come lui, che sulle pietre di quel nord della Francia che odora di Fiandra, c'avrebbe pure dormito. Sentì un desiderio irrefrenabile di ritornarci, ma l'orgoglio è una brutta bestia che si fa fatica ad addomesticare.

 

Non fosse stato per quell'omino che appena vedeva una bici sorrideva forse non ci sarebbe davvero salito fin lassù ancora. E invece lui gli aveva dato una maglia da vestire, un contratto da corridore importante. Soprattutto gli aveva sussurrato le parole giuste: "Quella corsa è l’essenza del ciclismo, io voglio vincerla con te". Quel "mai più" divenne "vedremo", infine una domanda: "Andiamo?". Nella testa di Franco Ballerini la ruota di Duclos-Lassalle che lo sorpassò negli ultimi metri di quella Roubaix del 1993 iniziò a sbiadire. Ritornò alla Parigi-Roubaix in tempo per vedere la nuvola di fango che si levava dal tubolare posteriore di Tchmil. Terzo, ma contento. Ma meno di quanto lo era Giorgio Squinzi, che magari non aveva assistito a una vittoria dei suoi, ma "ho visto un campione ritornare a essere un corridore felice. E il prossimo anno vedrete...".

 

Il 9 aprile 1995, 25 anni fa, il fango che aveva assistito all'impresa di Tchmil si era seccato, volteggiava nella campagna francese con il piglio amorevole delle madri che non si staccano dagli abbracci al ritorno a casa dei loro figli. E Ballerini era figlio di quelle terre, anche se per sbaglio era nato altrove.

 

Fu sul pavé di Templeuve che decise di andare incontro alla polvere, sperimentare per primo quell'abbraccio. La Roubaix lo accolse come fa con tutti quelli che non si oppongono alle pietre, ma le lasciano fare, adattandosi alla loro cattiva bellezza, senza diavolerie tecnologiche, senza bici speciali pensate apposta per le pietre, ma cavalcandone una normale, spinto soltanto dalla passione per quelle zone, fregandosene delle scomodità che quei blocchi portano con sé.

 

Ballerini danzò, volò, si riprese il passato alzando un cubo di pavé.

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