Giro DiVino
Un viaggio a vuoto
Giro d'Italia 2020, seconda tappa: Győr. La storia di una pedalata tra Italia e Ungheria nel momento sbagliato della storia
Da leggere bevendo uno Steiner della cantina Weninger Pincészet, Balt, Ungheria.
Efisio Collot si era diplomato in enologia da pochi mesi quando gli arrivò la lettera del suo professore Arturo Marescalchi che lo avvisava di un lavoro tanto prestigioso quanto distante. Il conte von Kammes aveva desiderio di ampliare la selezione di vini che produceva la sua tenuta ungherese e aveva bisogno di un nuovo enologo visto che quello precedente l’aveva licenziato. E dato che non il nobiluomo non si fidava né degli austriaci, né tantomeno degli ungheresi si era rivolto all'istituto più importante del nord Italia, quella di Conegliano. Lo stipendio che il conte aveva offerto alla scuola e al giovane era talmente buono che Efisio partì in pochi giorni.
Era la metà di giugno del 1914 e il clima era quello adatto per viaggiare. Giornate lunghe, il sole caldo ma non troppo, assenza di pioggia. Efisio salutò la madre, gli amici, Treviso e iniziò a pedalare verso quel luogo lontano, con un bagaglio minimo e già tanta voglia di tornare. La bicicletta per lui era l’unica possibilità di muoversi, ché dei cavalli aveva paura e del treno nemmeno a parlargliene che gli saliva un malessere che metà sarebbe bastato.
Gli ci vollero due settimane, ma pedalate con calma, per arrivare nella tenuta del conte nelle colline fuori Győr. Non trovò nessuno ad attenderlo. Aspettò per un giorno interno, girovagando per il paese. Solo l’indomani incontrò uno dei fattori, che lo accompagnò nelle sue stanze e gli fece fare un giro della tenuta. Il nipote del conte dovrebbe arrivare a giorni, gli dissero. E lui aspetto. Aspettò giorni, settimane, due mesi. Poi il nipote del conte arrivò davvero. Lo ringraziava di essere venuto e gli disse che, data la situazione, non se ne faceva niente. Che situazione? Chiese Efisio. Non sa? C’è la guerra e qui il conte non sarà a lungo il benvenuto. Il giovane rimase inebetito a guardare il nobiluomo. E io? Se ne torni a casa, le pagherò i due mesi che è stato qui e il viaggio in treno. Ma io sono venuto in bicicletta. E allora le pagherò solo i due mesi che è stato qui.
Efisio se ne tornò a casa con l’idea che s’era preso una bella fregatura. Pedalò veloce, rabbioso. Gli ci vollero quattro giorni per coprire i quasi seicento chilometri che due mesi prima coprì in due settimane. Dopo quel viaggio si innamorò a tal punto della bicicletta che se la portò pure in guerra e poi a passeggio per tutta l’Italia.