Elaborazione grafica da una foto tratta da StockSnap

Girodiruota – GiroDiVino

La bicicletta deve ringraziare il bianco dell'Etna

Giovanni Battistuzzi

La quinta tappa del Giro d'Italia 2020 doveva portare in cima al vulcano siciliano. Lì dove si materializzò l'idea che cambiò per sempre il mondo delle mountain bike

La quinta tappa del Giro d'Italia 2020 doveva partire da Enna e arrivare sull'Etna.

La quinta tappa di GiroDiVino (qui trovate tutte le altre puntate) è da leggere bevendo un Vulkà - Etna bianco delle Cantine Nicosia, Trecastagni (CT)

  


 

Fu solo quando ritornò a casa sua, nel sud della California, che ripensò a quella sera passata a parlare e a bere del bianco, mentre gli occhi vagavano confusi, incapaci di scegliere tra la sommità del vulcano e le luci delle coste dello stretto. Erano passati pochi giorni soltanto da allora, ma a lui parvero mesi e anni sprecati, ché l’idea era buona e lui per poco se la stava perdendo. Riprese quel tovagliolo increspato dalle gocce di vino che immancabilmente si spande quando le bottiglie vuote si affollano sul tavolo e lo riprodusse su di un foglio bianco. Era tutto lì, evidente come l’Etna dalla costa.

  

Sul vulcano c’era finito per far piacere a un amico che da un po’ lo invitava qua e là nel mondo, ma che lui, a causa delle mille cose che c’aveva sempre da fare, aveva ignorato troppo a lungo. Era arrivato dalla Germania con due bici nel bagagliaio. Da Catania erano partiti senza un itinerario, ma con l’unica certezza che sarebbero saliti sul vulcano.

 

Quando avevano raggiunto il punto più alto raggiungibile pedalando, s’erano buttati giù per sterrati e sentieri che per loro la bicicletta era essenzialmente questo: assenza di strade. Al rifugio erano arrivati per cena, con le spalle, la schiena e le braccia affaticate. La sala era semivuota, se non fosse stato per alcuni motociclisti inglesi che avevano fatto un po’ di cross per le pietraie. Provò un po’ di nostalgia del passato a sentirli, che lui, Horst Leitner, su di una moto da cross c’aveva passato una vita, prima a correrci sopra, poi a costruirle e a inventare tecnologie per migliorarle. Alla bici c’era arrivato per caso e per soldi, perché lì in America le mountain bike erano diventate un gran business e lui per gli affari aveva sempre avuto il fiuto giusto. S’era pure inventato un sistema di ammortizzazione, ma mica funzionava troppo bene, ammortizzava sì, ma faceva perdere troppa velocità e nel downhill la velocità è altrettanto importante che il molleggiamento.

 

Fu mentre beveva e chiacchierava con l’amico di sempre che sentì uno dei biker lamentarsi del posteriore della sua Husqvarna. Gli sembrava di guidare con una moto divisa in due pezzi, disse. Fu allora gli sembrò tutto chiaro. Si fece portare una penna e disegnò uno ghiribizzo sul tovagliolino. Due pezzi. Che la bici mica era una moto, un pezzo unico, aveva bisogno di un’ammortizzazione separata, che garantisse stabilità grazie all’indipendenza di movimento per non dare problemi al corpo.

  



 

Nel gennaio del 1990 il giunto Horst era brevettato, a fine febbraio inserito in una bicicletta. A inizio marzo non fu più niente come prima. Chiedetelo alla Specialized che decise nel 1993 di acquistare il brevetto con tutti i diritti, rinominandolo FSR e in pratica sbaragliando il mercato delle mountain bike biammortizzate.

 


 

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