GiroDiVino
Mai dire a Jacques Anquetil cosa deve bere
Il Giro oggi i corridori dovevano arrivare a Monselice. Nel 1963, al velodromo di Padova il francese nel 1963 offrì una delle sue peggiori prestazioni sportive. E per uno champagne negato lasciò tutti in asso
La tredicesima tappa del Giro d'Italia 2020 doveva partire da Cervia e arrivare a Monselice. La dodicesima tappa di GiroDiVino (qui trovate tutte le altre puntate) è da leggere bevendo una bottiglia di Colli Euganei Manzoni Bianco, della cantina Quota 101, Torreglia (PD).
Gli avevano detto che Padova di giugno era bellissima e, soprattutto, che gli organizzatori pagavano bene, molto bene. E di stare tranquillo, che, sì il premio grosso era solo per il vincitore, ma già l’ingaggio era più che buono, dignitosissimo. Aveva accettato, anche se senza particolare entusiasmo, ché, dopo Vuelta e Delfinato, avrebbe preferito tornarsene a casa a riposare e preservare energie per il Tour de France: c’era la quarta maglia gialla da mettere in bacheca, la terza consecutiva e non voleva avere rogne. Aveva detto in giro di avere la tenia, di non voler correre la Grande Boucle, ma era più per evitare le seccature della stampa che realtà.
Se ne pentì ancor prima di arrivare però di avere accettato. Non tirava una bava di vento, l’umidità si poteva tagliare, la bici da pista non era ancora arrivata per provare il velodromo e l’albergo mica era lo splendore che gli avevano detto. Certo non una stamberga di quelle che ogni tanto gli capitavano al Tour, ma nemmeno sto gran lusso.
Si fece portare la cena in camera, di scendere non ne aveva la minima voglia. L’umore era quello che era, per nulla buono.
Erano passate solo poche ore e la rabbia non gli scendeva. Ché non vincere è una cosa, ma beccare quasi due minuti e mezzo da uno in sovrappeso è un'altra. Dell’Ercole aveva sempre gran stima, lo considerava un campione e l’anno prima l’aveva dimostrato proprio al Trofeo Tendicollo Universal. Però in quel 1963 andava mica Baldini, al Giro non aveva vinto nemmeno la cronometro di Treviso. E lui s’era fatto battere. Certo ci aveva messo del suo, che andare a mezza potenza per tre giri su cinque non era stata una grande idea, ma era convinto che due giri a tutta sarebbero bastati. Si sbagliò.
E si sbagliò pure l’indomani, quando dagli altoparlanti del velodromo Monti elencarono i partecipanti. Gli sarebbe bastata una gamba per vincere, pensò. E invece nella semifinale dell’inseguimento era già fuori, battuto da Graziano Battistini, gran scalatore, ma in pista non certo un fenomeno. E nella corsa a punti pagò tanta di quella polvere da Mino Bariviera che mezza ne sarebbe bastata. Perse pure nella velocità, dietro a Marino Fontana. Uno dagli spalti lo fischiò pure. Fischiare lui?, Jacques Anquetil? Blasfemia.
Si lavò, si cambiò. E andò a stringere le mani che aveva promesso di stringere. Anche perché l’ingaggio mica glielo avevano ancora dato.
Al ristorante c’erano il sindaco, l’assessore, due figuri che già aveva visto ma non si ricordava dove. Aveva i nervi tesi e tanta voglia di andarsene. E tutti quei salamelecchi gli sembravano sempre più un cappio. E l’ingaggio ancora non glielo avevano dato.
“Champagne, grazie”, chiese al cameriere, che dopo una giornata del genere solo quello lo poteva tirare su un attimo.
Il cameriere tirò i muscoli del collo, l’assessore gli disse che loro champagne non l’avevano ché lì bevevano altro bianco. E migliore pure dello champagne. Jacques Anquetil sorrise, “non avete champagne, ma un vino migliore dello champagne?”. L’assessore sorrise complice e rispose di sì.
Il francese annuì con un cenno del capo, poi salutò tutti, sospirando. “A Jacques Anquetil nessuno dice cosa deve bere”.
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