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Il Sibiu Tour è un test per il ciclismo dei prossimi mesi
È iniziata ieri la prima corsa a tappe europea dopo lo stop causato dalla pandemia di Covid-19. E gli organizzatori di tutte le grandi gare, dal Tour de France al Giro d'Italia, guardano alla Romania per capire cosa ne sarà della stagione 2020
Le montagne della Transilvania, verdi e selvagge, da Sibiu si intravedono appena. Sono distanti, smuovono soltanto l'orizzonte. Così come sono distanti, tra le sue morbide collinette, quelle storie gotiche di principi e conti e strambe magie che ancora tra i monti si raccontano e che hanno avuto molto successo in Europa. La Romania a Sibiu è un collage di Mitteleuropa, di edifici asburgici e germanici, dove il sovietismo architettonico spunta qua e là senza dar troppo fastidio, almeno in città.
Di Sibiu, almeno in Romania, si è sempre detto che succedeva niente – data la distanza da Bucarest –, si mangiava bene, si produceva molto e si facevano buoni affari. Di Sibiu, almeno fuori dalla Romania, si parlava affatto, se non per qualche ragione imprenditoriale o turistica. E per quello strano detto che la vorrebbe come la città dei mille occhi, perché, almeno tra Settecento e Ottocento, in città il commercio fioriva, le corporazioni erano potenti e sapevano tutto di tutti.
I mille occhi di Sibiu, in questi giorni, sono in netta minoranza rispetto a quelli che verso Sibiu guardano. E lo fanno con speranza e ansia, mentre provano a capire come potrà essere il futuro. Perché in città e, soprattutto, attorno alla città è iniziato ieri il Sibiu Tour, che è corsa solitamente di secondo grado e alta spettacolarità, di recente creazione, si corre dal 2011, ma già dall'albo d'oro di una certa rilevanza: in maglia gialla hanno terminato la corsa l'ultimo vincitore del Tour de France, Egan Bernal, Iván Ramiro Sosa, che del connazionale vorrebbe (e forse potrebbe) seguire le orme, Kevin Rivera, che il suo direttore sportivo all'Androni Giocattoli Gianni Savio ne parla un gran bene, Davide Rebellin e Victor De la Parte. E sul podio della corsa ci sono finiti anche Primož Roglič, Francesco Gavazzi e Aleksandr Vlasov.
Il Sibiu Tour è la prima corsa a tappe che si disputerà in Europa dopo la pandemia di Covid-19. È iniziato ieri con il cronoprologo cittadino e con il successo a sorpresa del tedesco Nikodemus Holler della Bike Aid, grazie anche allo zampino del meteo che tra vento e pioggia ha rallentato quel tanto che bastava i favoriti: il ceco Adam Toupalík e l'austriaco Matthias Brändle.
Secondo i dati degli organizzatori la diretta web della tappa di ieri ha avuto un numero di visite quasi trenta volte superiore alla media di quelle degli anni passati.
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Dati che non sorprendono. Principalmente per una scontata constatazione: dopo tre mesi di assenza di gare, molti appassionati hanno una voglia matta di vedere una corsa di cui non conoscono l'ordine d'arrivo. E ancor più se questa è solitamente combattuta e incerta, come nelle ultime stagioni il Sibiu Tour ha dimostrato di essere, e se in gruppo ci sono corridori di livello come Pascal Ackermann, Patrick Konrad, Francesco Manuel Bongiorno, Ramūnas Navardauskas, l'ex recordman dell'ora Matthias Brändle e Davide Rebellin (che a 48 anni ancora fa girare i pedali in mezzo al gruppo pieno di entusiasmo, come raccontava al Foglio qualche mese fa).
Ma c'è anche un'altra ragione per il successo di quest'anno della corsa rumena. Ed è legata all'attesa di quello che succederà. Perché il Sibiu Tour è anche un'esperimento, un test per capire quanto dovremmo preoccuparci del futuro.
L'aumento di contagi nel paese, 1.112 solo ieri per un totale che ha superato i 41 mila, ha fatto rinunciare alla corsa a diverse squadre, come Alpecin-Fenix, Androni Giocattoli, Gazprom-Rusvelo e Sangemini-Trevigiani, e ha messo a rischio anche la partenza. Gli organizzatori hanno comunque voluto far correre gli atleti, assicurando massima attenzione alla sanificazione degli ambienti e al rispetto delle norme sanitarie date dall'Uci. Insomma, forse inconsapevolmente, hanno trasformato la gara a tappe in un test. E sarà un test importante per intuire quello che sarà il futuro. Perché la pandemia non è passata, anzi vaga ancora per l'Europa (per non parlare del mondo), e lo sport, come del resto tutta la società, deve ancora prendere le misure al virus.
Da agosto ritorneranno le grandi gare europee, le classiche, le brevi corse a tappe e poi, a fine mese, il Tour de France, la corsa che il sistema ciclismo non può permettersi di non correre. Ripartire con la consapevolezza che una gara a tappe si può disputare senza rischi eccessivi sarebbe un modo per spazzare un po' di nuvole dal cielo, con quel po' di fiducia in più che potrà permettere di scavallare il virus.