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La voce del padrone. Roglic a Orcieres-Merlette avvisa il Tour de France
Sul primo arrivo in salita della Grande Boucle lo sloveno mette in fila tutti i contendenti alla maglia gialla (che rimane sulle spalle di Alaphilippe)
Ad attendere i corridori a pochi passi dal cartello che segnalava i tre chilometri al terzultimo Gran premio della montagna della quarta tappa del Tour de France, c'era un signore con una maglia rossa, la mascherina e qualcosa in testa con un cane. Un bel esemplare di boxer. Stavano lì da chissà quanto, sotto il sole. Il signore era accucciato, telefono in mano e braccio attorno al suo animale che fermo immobile guardava l'avvicinamento dei fuggitivi che davanti a loro avevano ancora 37,9 chilometri da pedalare. In quel momento avevano due minuti e quaranta quattro secondi di vantaggio sul gruppo. Pochi per avere la certezza di arrivare, abbastanza per sperare che un cataclisma saltasse loro e si abbattesse sul gruppo.
Capita ogni tanto che la speranza di raggiungere un obbiettivo si mescoli alla credulità e, a volte, basta un evento qualsiasi per incrinare la fiducia e crollare certezze con le fondamenta di cartapesta. O così almeno nel ciclismo. Anche un fatto del tutto ininfluente come un cane che si distende al suolo e si porta le zampe a coprirsi orecchi e occhi proprio al passaggio dei fuggitivi. Quel cane era quello che aspettava i corridori a bordo strada a 37,9 chilometri dal primo arrivo in salita del Tour de France a Orcieres-Merlette.
⛰️ The breakaway begin the climb to the 3rd category Côte de l'Aullagnier
— Tour de France™ (@LeTour) September 1, 2020
⛰️ Les échappées commencent l’ascension de la Côte de l'Aullagnier, côte de 3ème catégorie. #TPC2020 pic.twitter.com/sSbQhDbfbk
Se l'abbiano visto o meno Nils Politt, Krists Neilands, Mathieu Burgaudeau, Alexis Vuillermoz, Tiesj Benoot e Quentin Pacher, non se ne ha certezza. Certo è che forse il cane nell'incosapevolezza del suo comportamento aveva ben visto la vacuità dell'azione dei sei in testa alla corsa. Non che fosse un indovino l'animale, ci mancherebbe altro. Il suo è stato un comportamento legittimo: tra gli avanguardisti non aveva sentito la voce del padrone. Perché la voce del padrone pedalava a qualche chilometro da loro, attorniato dalle maglie gialle e nere dei suoi compagni di squadra.
Di chi fosse la voce del padrone, se ne è accorto pure il Tour de France circa un'ora dopo, quando negli ultimi chilometri all'insù verso Orcieres-Merlette, la Jumbo-Visma si è messa in testa a fare un'andatura insostenibile per molti, quella però che il loro capitano predilige. Il gruppo si è assottigliato, ha perso pezzi, è diventato esiguo. Qualcuno ha provato anche a tentare il colpo gobbo, Guillelme Martin. Tutto inutile. Perché Primoz Roglic a duecentocinquanta metri dall'arrivo si è alzato sui pedali e sprintando si è tolto di ruota chiunque.
La voce di Roglic non si è sentita, se non in qualche rapida e stringata risposta in conferenza stampa. Anche questa volta ha preferito far parlare le gambe.