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Imola 2020, lo stomaco forte di Alaphilippe
Il francese conquista i mondiali di ciclismo. Van Aert e Hirshi completano il podio
Ventitré anni dopo il successo di Laurent Brochard la Francia ritorna in maglia iridata. Il corridore della Deceunick ha risolto la corsa sull'ultima ascesa verso Cima Gallisterna
Nel gergo ciclistico un mangiaebevi è un percorso con salite e discese che si susseguono senza soluzione di continuità, un su e giù costante dove la pianura è una dimensione sconosciuta. L’origine del termine non è certa, è entrato nel ciclismo chissà quando e non è più uscito. Anche perché difficilmente si poteva trovarne uno migliore per indicare tutto ciò.
Mangiaebevi si presta bene per raccontare ciò che sta attorno a Imola, almeno verso sud, là dove le colline puntano verso l'Appennino per crinali paralleli e la pianura, abbondante e apparentemente infinita verso e oltre il Po, sparisce.
Tra i colli imolesi si mangia e si beve forte. Forte di sapore e di porzione. Castrati, sfoglie ripiene, garganelli con ragù di rigaglie, stufati al latte e sangiovesi pieni e rotondi. Cibi adatti “a stomaci forti e preparati”, scriveva Pellegrino Artusi; vini “coriacei come i pendii che accolgono le vigne”.
Julian Alaphilippe uno stomaco forte e preparato ce lo ha sempre avuto. Anni fa suo padre Jo aveva detto che Julian “da piccolo non lo fermava nulla, nemmeno lo stufato di sua madre prima delle gare. Digeriva tutto. La cosa che preferiva mangiare però erano gli strappi”.
La salita che porta a Cima Gallisterna è lunga poco più di due chilometri, i primi ottocento metri tranquilli, poi un chilometro abbondante di strada che punta al cielo e fa male alle gambe. Uno strappo che farlo nove volte in un giorno può portare all’indigestione. Soprattutto se prima l’asfalto saliva pure verso Bergullo e Mazzolano.
Indigesta Cima Gallisterna lo è stata per molti. Per Vincenzo Nibali nel momento sbagliato, quello nel quale la corsa si è decisa. L’italiano sull’ascesa precedente aveva provato l’allungo per sorprendere gli avversari, le gambe l’hanno fregato nel momento peggiore. Per Tadej Pogacar che lì aveva provato il colpo grosso al giro di circuito precedente.
Non però per Alaphilippe che s’è imbandito la tavola e ha fatto ciò che sapeva di dover fare: prendersi il proscenio con la speranza che fosse tutto per lui.
Mikal Kwiatowski è stato l’ultimo ad arrendersi allo scatto del francese, il primo a incitare i piantati da Alaphippe a non demordere, a collaborare che i chilometri erano ancora parecchi e il finale non scritto. Il polacco è un ottimista, uno che ha fiducia nelle persone e che cerca sempre di vedere il lato positivo delle cose. Jakob Fuglsang, Marc Hirshi, Primoz Roglic e Wout Van Aert sono persone decisamente più realiste e pratiche. Sul crinale che guarda dall’alto lo scorrere del Santerno già sapevano che dieci gambe vanno meno veloci che due quando i chilometri sono pochi all’arrivo, perché convincere cinque teste a collaborare è più difficile che spronare se stessi a menare forte per non essere ripresi.
Julian Alaphilippe in salita è scattato, sui pedali ha zompettato, nel falsopiano ha spinto, in discesa sulla bici si è disteso cercando velocità e aerodinamicità. Si è girato, ha sbuffato, chiesto e richiesto vantaggio e distacco, ha stretto i denti e allargato la bocca, senza mai smettere di pedalare, nemmeno in discesa. Solo dopo aver incontrato sotto le proprie ruote l’asfalto del circuito Enzo e Dino Ferrari, aver guardato indietro e aver visto che il branco era abbastanza distante e piuttosto demotivato, il francese ha sorriso. Un attimo soltanto. Poi il suo ghigno è ritornato lì al solito posto, tra il pizzetto del moschettiere. Ha spinto sui pedali ancora per due chilometri, concentrato e teatrale come ogni francese che è diventato grande dopo il metodo Voeckler. E lì si è lasciato andare all’incredulità, alla consapevolezza che l’aveva fatta grossa davvero, che era diventato campione del mondo, che lo stomaco era quello di sempre, quello che riusciva a digerire tutto, che anche questa non l’avrebbe vista suo padre Jo.