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L'asfalto del ciclismo non dimentica

Quel filo che parte da Henri de Toulouse-Lautrec e porta a Julian Alaphilippe

Giovanni Battistuzzi

Il ricordo di Marco Pantani non è svanito. In questi giorni, al mondiale di ciclismo di Imola 2020, si è trasformato in una scritta sulla strada che porta verso la cima Cima Gallisterna

Il primo, o almeno tra i primi, a pensare che l’asfalto di una strada potesse trasformarsi in una tela buona per omaggiare il passaggio dei ciclisti fu Henri de Toulouse-Lautrec. Deformazione professionale. Nel 1896 il pittore francese era rimasto talmente impressionato nel vedere le abilità velocistiche di Arthur Augustus Zimmerman sull’ovale del Buffalo a Parigi che “per celebrarne la forza e l’impeto” – raccontò al Figarò lo scrittore Tristan Bernard – decise di dipingere sull’asfalto della strada che portava al velodromo un ritratto stilizzato del velocista americano con accanto due parole: Allez Zimmì. Tutto con la vernice rossa. Accanto a quell’opera di Henri de Toulouse-Lautrec, Zimmy passò in solitaria davanti alla dozzina di corridori che inutilmente cercavano di recuperare lo svantaggio della “prova stradale” che chiudeva la tre giorni di gare di Porte Maillot. 

“Zimmerman” (1895; disegno, 28,6 x 22 cm; Parigi, Louvre, Cabinet des dessins)

 

I ritratti dei campioni del ciclismo hanno lasciato da un bel pezzo l’asfalto per appropriarsi dei muri. L’hanno fatto a Castellania, a San Lorenzo al mare, a Saint-Brieuc in Bretagna. Hanno superato l’Oceano, raggiunto Tulcán, Ecuador.  

Tratta dal profilo Twitter @eluniversocom

Di ritratti disegnati sull’asfalto ce ne sono stati ben pochi dopo quello di Henri de Toulouse-Lautrec. Alla complessità dell’elaborazione grafica i tifosi del ciclismo hanno sempre preferito altro: la semplicità di una passione, l’immediatezza di un nome, di un soprannome, di un nomignolo. Un nome, un soprannome, un nomignolo che si sono sommati e accavallati durante i decenni, che sono cambiati al cambiare dei protagonisti.  

 

È però un blocco note infinito il ciclismo, ha migliaia e migliaia di fogli staccabili, ma ciò che si è scritto una volta in qualche modo si calca in negativo su quelli sottostanti e a volte basta solo uno sfregolio di matita per far riemergere tratti passati. 

 

L’asfalto delle strade del ciclismo è una celebrazione di nomi, di passioni, di uomini che sui pedali si dannano per una vittoria, per un capitano, che si dannano e basta, a volte anche solo per l’ultimo posto. 

 

Giuseppe Fonzi ha fatto due Giri d’Italia, due Giri li ha conclusi, in entrambi i casi all’ultimo posto. E con soddisfazione. Di “Fonzi”, “viva Fonzi”, scritte così, le strade del ciclismo ne hanno viste a migliaia. Di “Moser”, “Saronni”, “Gibo” (Simoni), “Bartoli” ecc. se ne sono visti molti di più. Di “Nibali”, “Visco” (Visconti), se ne vedono spesso. Di “Phil” (Gilbert) è “lastricata” la strada che porta in cima alla Redoute, la côtes simbolo della Liegi-Bastogne-Liegi. Di “Ala” o “Alaphilippe” sono cosparse quelle di Francia, molte volte intervallate tra un “Pinot” e l’altro – e non si riferiscono al vino ma a Thibaut. A volte celebrano il coraggio e la sconsideratezza: “W la fuga”. Altre sono le parole di Gino Bartali: “Un passista non ha alternative. Deve arrivare ai piedi del muro con almeno dieci minuti di vantaggio così poi, se lo fa a piedi impiegando un quarto d’ora di più di quelli che lo faranno in bici, arriverà in cima con cinque o sei minuti di ritardo e potrà ancora sperare”. Capita sul Muro di Sormano. 

 

A ogni strato d’asfalto rifatto si rifanno, con la vernice o il gesso, le scritte. Qualcuna muta, si adegua ai tempi che cambiano. Qualcuna invece è sempre la stessa. Perché le strade del ciclismo hanno memoria, si ricordano delle fatiche passate, delle imprese e delle débâcle. E anche quando sono nuove, quando ci si è passati poche volte, o anche mai, l’asfalto assorbe memorie condivise, nuove e imperiture. 

 

Sull’asfalto della Cima Gallisterna la memoria portava a qualche decennio fa, a chi da queste terre è partito per conquistare Giro d’Italia e Tour de France, per di più in uno stesso anno. In quel chilometro e spicci (dei 2,7 totali) nel quale l’asfalto ascendeva al cielo, i palmer dei corridori impegnati nel Mondiale di ciclismo di Imola 2020 passavano sopra la memoria indelebile di una campione: Marco Pantani. Ieri sotto le ruote di Julian Alaphilippe, oltre un metro più basso del suo pizzetto piratesco, un PANTANI ha visto nascere lo scatto buono, mondiale, iridato. 

 

Foto LaPresse

 

L'asfalto non dimentica. L’asfalto riporta ciò che il ciclismo non scorda. 

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