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Giro d'Italia 2020, Démare e la semplicità (non banale) della cialledda

La cialledda è quanto di più semplice si può trovare nel materano: pan raffermo ravvivato in acqua e aceto, patate, erbe selvatiche, sedano e cipolla. Eppure per farla buona servono prodotti di qualità e tempismo. Come nel ciclismo, come per il francese

Giovanni Battistuzzi

Il francese vince ancora. Sua la sesta tappa della corsa rosa dopo una volata che lo vedeva spacciato a seicento metri dal traguardo

La cucina tradizionale, o almeno quella della tradizione più antica, è solitamente un concentrato di necessità. La prima: mangiare. La seconda: utilizzare quello che più facilmente si trova. E quello che più facilmente si trova, oltre all’aria che non nutre, è ciò che la terra offre.

 

La cucina tradizione, o almeno quella che si sono tramandati nei secoli generazioni di famiglie, è fatta solitamente di piatti semplici, perché c’era mica tanto da inventare quando già si faceva fatica a mettere assieme il pranzo con la cena. Piatti semplici ma non banali, perché ci vuole maestria a rendere sfizioso ciò che può risultare solo un’accozzaglia di cose. Per decenni Gualtiero Marchesi ha costretto i suoi nuovi allievi a iniziare col cucinare pasta al pomodoro e minestra di legumi, o almeno così diceva.

 

La cialledda è quanto di più semplice si può trovare nel materano: pan raffermo ravvivato in acqua e aceto, patate, erbe selvatiche, sedano e cipolla (c'è chi ci mette pure il pomodoro e il cetriolo). Tutto mescolato assieme e pronto per essere mangiato. Sembra una ricetta banale. Eppure non c’è mai niente di banale nel semplice. Non in cucina, tantomeno nel ciclismo.

 

Vedere Arnaud Démare prendere la testa della volata e staccare tutti di almeno un paio di biciclette può sembrare semplice, ma non lo è. Un po’ perché dietro al francese c’è finita gente tosta, veloce ma non solo da volate, a significare che i 2.821 metri di dislivello della sesta tappa del Giro d'Italia 2020, la Castrovillari-Matera, si sono fatti sentire; un po’ perché tra il sembrare spacciato ai seicento metri dall’arrivo (il francese era circa ventesimo) e il vincere, ci sono di mezzo due sprint e un gran pesce pilota, Jacopo Guarnieri, e di solito un gran apripista va dove c’è un capitano che sa apprezzare il talento.

  

 

Una buona cialledda ha bisogno di materie prime di qualità e soprattutto del tempo giusto, quello per permettere al pane di essere ancora pane e non un insieme di brandelli mollica che vaga in una desolazione di crosta molliccia.

 

Anche una volata, o meglio una preparazione di una volata ha bisogno delle stesse cose. Gente tosta e di qualità e tempismo. La Bora-hansgrohe le ha sfoggiate da metà tappa in poi, lasciando prima l’onere dell’inseguimento agli uomini della maglia rosa e poi intervenendo di persona quando i minuti di vantaggio dei fuggitivi avevano oltrepassato i nove e qualche idea di arrivare al traguardo si era palesata nella testa di Mattia Bais dell’Androni Giocattoli Sidermec, Filippo Zana della Bardiani CSF Faizanè, di James Whelan dell’EF Pro Cycling e Marco Frapporti della Vini Zabù Brado KTM.

  

  

Il ciclismo muove le sue ruote in bilico sul sadismo, è così da sempre. I quattro c’hanno creduto e sono rimasti delusi. Sagan ci ha creduto ed è rimasto deluso. L’unico che non ci credeva davvero forse era proprio Démare che ieri aveva detto “chissà, se non menano troppo in salita potrei essere anche nel gruppo buono, bisogna vedere però con che gambe”. Le gambe erano quelle buone. 

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