giro di tavole
Geoghegan Hart e il principio della polpetta
L'inglese veste la maglia rosa che mai era riuscito a vestire durante le prime venti tappe. Hindley ha perso 39" ed è secondo nella cronometro vinta da Filippo Ganna
Capita spesso che l’ultimo giorno di un grande giro di tre settimane non sia nient’altro che un giorno in più. Inizia con un brindisi a quello che è successo per tre settimane, finisce con una festa di velocità, il momento buono per festeggiare i funamboli della bicicletta e della volata che hanno superato le montagne, non hanno ceduto alla faciloneria della resa.
Capita spesso, non è capitato oggi. Perché oggi, da Cernusco sul Naviglio a Milano, lungo gli ultimi quindici chilometri e spicci del Giro d’Italia, festa della velocità è stata, ma non dedicata ai velocisti sopravvissuti alle montagne.
È stata festa grande per Filippo Ganna, quarta vittoria in questo Giro, quella che ha sentenziato, se ce ne era ancora bisogno, la sua strabordante capacità di restringe il tempo e allungarlo agli altri. Primo. Come a Palermo, come tra Conegliano e Valdobbiadene, come era ovvio che fosse.
È stata corsa necessaria e definitiva, buona a decidere ciò che venti tappe non sono riuscite a fare. Non c’è stato nessun brindisi in bicicletta, i bicchieri sono stati riempiti al pomeriggio e solo dopo il passaggio sotto lo striscione d’arrivo dell’ultimo corridore, forse l’unico che non aveva nulla da festeggiare. Perché Jay Hindley oggi si è visto sfilare la maglia rosa che solo ieri aveva conquistato da chi ieri aveva il suo stesso tempo e soltanto qualche decimo di secondo in più. Tao Geoghegan Hart ha vinto il Giro d’Italia grazie ai trentanove secondi raggranellati nel corso della ventunesima tappa. È riuscito a vestire una maglia rosa che gli era sempre sfuggita sinora. L’ha fatto all’ultima occasione utile. Che è poi quella che fa testo, l'unica buona per entrare in quell’elenco di esclusione chiamato albo d'oro, una lista di nomi e cognomi incisi in un trofeo che fine che non ha, ma che ha la capacità di sintetizzare tre settimane in una data e in un nominativo.
Hindley e Geoghegan Hart a Cernusco sul Naviglio ci sono arrivati con lo stesso tempo e seguendo la stessa strada, soprattutto seguendo il canovaccio della storia. Quella di due ragazzi partiti da Monreale con il compito di aiutare i loro capitani più esperti a vincere e che strada facendo, superando imprevisti e scetticismi vari, si sono ritrovati davanti a tutti per bravura ed evidenza, per capacità di utilizzare al meglio ciò che la strada offriva, reinventando ciò che la corsa sembrava, almeno a un primo colpo d’occhio, aver avanzato.
Nulla di dissimile dalla cucina.
Ciò che doveva essere una lotta tra gente di esperienza e pedigree, si è attorcigliata, ingarbugliata, scompigliata a tal punto da diventare tutt’altro. Niente di diverso da quello che quel buongustaio di Georges Simenon denominò “il principio della polpetta”. “Pensa, immagina, appunta. Utilizza ciò che ti sembra buono. Poi non buttare mai niente. Ripensa, immagina di nuovo e vedrai che ciò che è avanzato alla prima occasione, se ben impastato, darà la stessa soddisfazione del piatto buono. E forse ancora di più”.
Sotto la Madonnina Hindley e Geoghegan Hart si sono trasformati in ottimi mondeghili, quelli che per Giorgio Scerbanenco “davano ben più garanzie di un bollito”, ché mica facile “è farlo eccellente”. Ma se anche il bollito non eccezionale con l’aggiunta di mortadella, pan raffermo e ravvivato in acqua e aceto, un po’ di grana, un tocco d’aglio e qualche segreto che nessuna donna mai dirà, ecco che ciò che credevamo perduto si trasformerà in qualcosa di nuovo, un piatto ancora migliore dell’originale.
Hindley e Geoghegan Hart hanno avuto il merito di rendere eccellente ciò che eccellente non sembrava, almeno a mettere a confronto la lista di partenza del Giro con quella del Tour de France. In questo 2020 un po’ balengo, fatto di incertezze e assurdità, il Giro è arrivato a Milano (e già questo è un successo) dopo tre settimane di corsa incerta, combattuta, spesso incontrollata, per questo aperta a qualsiasi finale. Un giallo ben riuscito, ben messo in scena, che è stato capace di farci illudere di aver avuto la pensata buona, per poi dimostrarci la nostra ingenuità. Un giallo che non poteva avere come colpevole Geoghegan Hart, che di nome fa Tao, che a farla semplice e sbrigativa altro non è che l’eterno movimento della vita, o meglio la forza che perennemente scorre all’interno del mondo.