Chris Froome all'ultima Vuelta (foto Ansa)

Froome tra le bici d'Israele

Giovanni Battistuzzi

Il Tour da vincere con il campione inglese e il sogno di Sylvan Adams, patron della Israel Start-Up Nation: un paese a misura di bici, un’Olanda in medio oriente

"Soft power? No, passion”. Quando nel 2017 chiesero a Sylvan Adams se la Israel Cycling Academy fosse un’operazione di soft power dello stato di Israele, lui parlò di biciclette, di quella voglia irrefrenabile di pedalare che provava da sempre, di quanto fosse più bello il mondo in sella a una bici.

 

Sylvan Adams è nato in Canada da genitori ebrei scappati dai rastrellamenti dei nazisti in Romania. Oltreoceano ha costruito un impero immobiliare, che ha deciso di vendere per andare a vivere in Israele e concedersi all’idea, un po’ estemporanea forse, di cambiare il mondo. O se non proprio il mondo, quanto meno la percezione che il mondo aveva di Israele. Non soft power però, passione. Quella che lo ha spinto a tentare di realizzare il suo progetto più ardito: rendere il paese un’Olanda mediorientale. “Avete mai pedalato qui? È una cosa straordinaria. Vi prometto una cosa: farò di tutto per renderla a misura di bici”.
La Israel Cycling Academy era nata nel 2015 quando l’imprenditore Ron Baron e l’ex ciclista Ran Margaliot (ritiratosi a 25 anni perché non riusciva a trovare un ingaggio) decisero di fondare una squadra per dare la possibilità ai migliori corridori israeliani di correre. Il prossimo anno schiererà Chris Froome e al suo fianco uno squadrone.

 

L’Israel Cycling Academy partì dal basso: categoria Continental, terza serie del ciclismo mondiale. Erano in quattordici, avevano le maglie e le bici nere, erano tutti giovani, nessuna vittoria in bacheca a eccezione del polacco Bartosz Warchol, una. Però se la cavarono, vinsero quattro corse, pedalarono sempre all’attacco. Si fecero notare. E si fecero notare soprattutto da Sylvan Adams, che non appena venne a conoscenza del progetto decise di investirci tempo e denaro, perché “per cambiare le cose serve un modello e un modello ha bisogno di una vetrina”. E il ciclismo professionista è la miglior vetrina per far capire alla gente “la magia della bici”. Il perché lo spiegò in un’intervista al Jerusalem Post: “Il Tour de France è visto da 3,5 miliardi di persone nel mondo. È il terzo più grande evento televisivo al mondo dopo i Giochi Olimpici e la Coppa del Mondo. E tutta questa gente vedrà i colori d’Israele sulla maglia dei nostri atleti. E vedendo quei colori magari inizieranno a informarsi e a capire che c’è tanto da scoprire da noi”. Lo stesso ragionamento che lo ha spinto a impegnarsi per organizzare la grande partenza del Giro d’Italia nel 2018 e l’Eurovision l’anno dopo. Un impegno che lo ha messo al centro di accuse di utilizzare lo sport e i grandi eventi per cercare di ripulire l’immagine di Israele. Accuse a cui ha sempre risposto con un sorriso, sostenendo che non c’è nulla da ripulire, al massimo c’è da comprendere, capire. “In Israele gli omosessuali non sono perseguitati, a Tel Aviv c’è l’unico Gay Pride in medio oriente. Ma lo chiamano pinkwashing. Quando abbiamo inviato una sonda sulla luna era spacewashing? Se produciamo innovazione tecnologica è techwashing? Tutto quello che facciamo è lavare? Maddai, stiamo solo vivendo!”.

 

Al Tour de France la sua squadra, ora Israel Start-Up Nation, c’è arrivata quest’anno, dopo essere riuscita ad ottenere la licenza World Tour. Diverse fughe centrate, qualche piazzamento tra i dieci grazie alle volate del francese Hugo Hofstetter. A ottobre al Giro è arrivata la prima vittoria in una corsa World Tour grazie a una fuga dell’inglese Alex Dowsett. La seconda è arrivata dodici giorni dopo alla Vuelta a España grazie a Daniel Martin. Nove vittorie in totale.

 

Il prossimo anno sarà quello, almeno secondo le intenzioni della dirigenza, di una nuova svolta, di un’ulteriore evoluzione: la caccia grossa al grande risultato.

 

Molto girerà attorno alla voglia di riscatto di Chris Froome dopo un anno perso a ricercare una condizione accettabile. Una caduta durante la ricognizione sul percorso della cronometro del Giro del Delfinato del 2019 aveva messo a rischio la sua carriera: fratture a femore, costole, vertebre e gomito. Poteva essere la fine. Lui è però risalito in bicicletta e, dato che non andava abbastanza forte per fare il capitano, si è messo a fare il lavoro sporco: gregario al servizio di Richard Carapaz alla Vuelta.

  

“Non avrei mai potuto immaginare che un corridore come Chris Froome sarebbe stato disponibile a vestire i nostri colori”, ha ammesso Adams. “È come se un club israeliano avesse ingaggiato Messi. Quando abbiamo saputo che non avrebbe rinnovato con la Ineos, non abbiamo aspettato un secondo”, ha detto a VeloNews. Il paragone non è azzardato. Il keniano d’Inghilterra è il corridore in attività ad aver vinto più grandi giri: sette. Come Coppi, Indurain e Contador. Meglio di loro hanno fatto solo Anquetil, otto, Hinault, dieci, e Merckx, undici.

 

Adams e Froome si erano conosciuti nel 2018 alla partenza del Giro d’Italia da Gerusalemme. C’era stata sintonia, riconoscevano nell’altro la stessa passione per la bicicletta. Per quasi due anni si sono sentiti poco, poi, quando le dinamiche contrattuali hanno permesso al keniano d’Inghilterra di pensare a un futuro diverso da quello che (non) gli proponeva la Ineos, hanno riallacciato i contatti trovando in poco tempo un accordo. Un anno di contratto rinnovabile sino a quando avrà voglia di correre. Adams a Froome ha chiesto solo una cosa: ostinazione per tornare il migliore. Froome ad Adams ha chiesto solo precisione e qualche gregario all’altezza della missione, la solita: cercare di vincere il quinto Tour de France.

 

Sylvan Adams con Chris Froome prima del via del Giro d'Italia 2018 (foto LaPresse)
  

La Israel Start-Up Nation si è data da fare. Ha confermato i suoi migliori atleti, ha ingaggiato gente adeguata alla sfida, corridori tosti. Alessandro De Marchi e Patrick Bevin, Michael Woods e Darel Impey, Carl Fredrik Hagen e un ragazzino potrebbe diventare uno dei protagonisti del futuro: Sebastian Berwick. E qualche sorpresa potrebbe  ancora arrivare.

 

E poi c’è Sep Vanmarcke. Il belga, ingaggiato per le classiche del pavé, è da anni tra i grandi protagonisti sulle pietre, ma che ancora non è riuscito a vincere una classica monumento. L’Israel l’ha messo sotto contratto perché “Roubaix e Fiandre non sono corse, sono un concentrato di passione e meraviglia. Toccano le corde del cuore”, ha detto Adams a Sporza.

 

C’è sempre un dialogo biunivoco tra le ragioni sportive ed economiche del miliardario canadese e quelle sentimentali, quasi fosse impossibile per lui distinguerle. “Non sono più un uomo d’affari – ha ammesso sempre a Sporza – sono solo una persona che insegue un sogno. E chi ha un sogno non può sfuggire ai sentimenti. Sogno un Israele a pedali. Spero che i miei uomini possano essere gli alfieri di questo cambiamento”.

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