Caro Stella, nelle carceri c'è troppa gente, non pochi colletti bianchi
La curiosa analisi giustizialista dell'editorialista del Corriere che pensa che il problema principale del sistema giudiziario e carcerario italiano sia l’esigua presenza dietro le sbarre dei “colletti bianchi”
Col tintinnio delle manette non si sbaglia mai. Deve averlo pensato Gian Antonio Stella firmando ieri sul Corriere della Sera un’inchiesta dal sobrio titolo “Gli spacciatori affollano le carceri (e i colletti bianchi restano fuori)”. Per il celebre autore del libro “La casta”, il problema principale del sistema giudiziario e carcerario italiano è rappresentato dall’esigua presenza dietro le sbarre dei “colletti bianchi”, espressione demagogicamente ambigua ma che nella sostanza starebbe a indicare i responsabili di reati economici e finanziari. A dimostrarlo, sostiene Stella, sarebbero i dati indicati nel rapporto annuale del Consiglio europeo sulle statistiche giudiziarie: mentre in Italia ben il 31 per cento della popolazione carceraria risulterebbe essere costituita da spacciatori, sarebbero soltanto 312 le persone condannate con sentenza definitiva per reati economici, finanziari e truffe fiscali (lo 0,9 per cento del totale dei detenuti). Un dato, si sottolinea, venti volte inferiore a quello registrato in Germania, dove i “colletti bianchi” condannati sarebbero 5.973 (l’11,7 per cento).
Insomma, scrive Stella nel suo pezzo-omelia, da noi “nonostante i disastri causati dalla pirateria economica, finanziaria, fiscale, i delinquenti di quel tipo finiscono assai di rado in galera”. Una sproporzione rispetto ai condannati per reati minori “che la dice lunga sulle priorità della nostra giustizia”. In altre parole, secondo la prestigiosa firma del giornale di Via Solferino, la ricetta giusta per riportare la giustizia italiana in linea con gli standard europei sarebbe molto semplice: più carcere per i professionisti del settore economico e finanziario. Sarà contento il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, abituato a sparate giustizialiste di questo tenore, che proprio nel novembre scorso aveva dichiarato con sdegno: “La cosa grave in Italia è che i reati dei colletti bianchi sono scritti in modo tale da non consentire che vadano in carcere”. Anche Davigo, come Stella, fa da sempre riferimento ai dati forniti dal Consiglio d’Europa, un’organizzazione non nuova a confronti statistici piuttosto discutibili, come nel caso dei numeri relativi alla produttività dei magistrati (anche questi citati con frequenza dal presidente dell’Anm), che questo giornale ebbe già modo di smontare un anno fa. L’eterogeneità degli ordinamenti penali, infatti, non consente un confronto reale tra le varie statistiche, ad esempio perché un reato può essere riconosciuto come tale in uno stato ma non in un altro, ma anche perché non vi è uniformità persino sulla qualificazione dei “procedimenti penali definiti”.
Insomma, pare proprio un peccato che Stella, piuttosto che lanciare strali classisti sulla scarsità di “colletti bianchi” (cioè “ricchi”) in carcere, non abbia voluto sfruttare l’ampio spazio offerto dal Corriere a un tema così delicato ponendo l’attenzione sui reali problemi che da tempo affliggono il sistema giudiziario e penitenziario italiano, primo fra tutti la massiccia presenza di detenuti ancora in attesa di giudizio. I numeri in questo caso possono darci una mano, perché forniti direttamente dal ministero della Giustizia senza necessità di confronti fantasiosi: le persone costrette ad aspettare in carcere la sentenza di primo grado (che, come spesso accade, potrebbe assolverle) sono ben 9.831, cioè il 17,6 per cento del totale (55.929).
A questi devono aggiungersi i 9.583 detenuti condannati ma ancora in attesa di sentenza definitiva e dunque, secondo la nostra Costituzione, ancora innocenti. E’ un peccato, poi, che Stella non abbia voluto accennare minimamente ai numeri incredibili della malagiustizia: oltre 25 mila persone incarcerate ingiustamente dal 1992 al 2016, con lo stato costretto a pagare circa 650 milioni di euro di indennizzi. Tra le tante vittime della giustizia, anche molti “colletti bianchi”.