Con Tiziano Renzi a Travaglio non basterà un'intervista riparatrice
Tutte le cause pendenti tra il babbo dell'ex presidente del Consiglio e il Fatto quotidiano. E la prossima settimana si compiono due passaggi importanti
Roma. Chissà se alla fine basterà una “dolce intervista” per acquietare il signor Tiziano Renzi. A mettere insieme certi indizi, si direbbe che no, non basterà. Fu dolce lo scambio nel maggio 2015 tra Marco Travaglio e l’imprenditore Alfredo Romeo che, assolto in Cassazione dopo 79 giorni a Poggioreale, accettò la riabilitazione mediatica sulle colonne del Fatto quotidiano cullato dal direttore che, con inusitata pacatezza, riportava il Romeo-pensiero sull’onestà dei magistrati, sulla responsabilità civile togata, in un picco di aggressività gli domandava mellifluo se volesse dispensare consigli al governo per la lotta alla corruzione, e ancora se la sua vicenda processuale gli avesse suggerito “relazioni più distaccate” con l’amministrazione comunale partenopea. Per carità, siamo donne e uomini di mondo, non desta scandalo l’intervista riparatoria.
A Rignano sull’Arno però non tira aria di mediazione, babbo Renzi ripete agli amici che fino alla scalata politica filiale lui con la giustizia non ha mai avuto niente a che fare, adesso osserva silente il dipanarsi del caso Consip in cui è indagato per concorso in traffico di influenze illecite. Rispetto al principio si ravvisa un lieve sollievo dacché l’atteggiamento dei pm capitolini pare improntato alla lucida osservazione degli elementi oggettivi. Nei confronti di babbo Renzi, al netto di illazioni e sospetti, non si comprende quali sarebbero gli appigli probatori. Così, man mano che si dispiegano le manovre strumentali di chi agita i guai giudiziari paterni a discapito del figlio, Tiziano Renzi esibisce il nerbo del toscanaccio doc.
Tra lui e Travaglio si disputa ormai un autentico match giudiziario a più livelli. La prossima settimana si compiono due passaggi: l’11 aprile si tiene a Firenze la prima udienza della causa civile per alcuni articoli del Fatto quotidiano che bollano Renzi senior come “bancarottiere” per la vicenda Chil Post. Com’è noto, Renzi senior è finito sotto indagine a Genova, con tanto di richiesta di archiviazione da parte del procuratore, fin quando a 22 mesi di distanza un gip ha letto le carte, caso chiuso. Il fallimento della società è avvenuto due anni e mezzo dopo la cessione, perciò il babbo si ritiene ingiustamente danneggiato e chiede 300 mila euro a giornale e direttore. Il 12 aprile, sempre a Firenze, si consuma un rito obbligato, solitamente infruttuoso, dinanzi all’OCF, l’organismo di conciliazione del capoluogo toscano, per una seconda causa civile, intentata sempre dal babbo di Rignano vs Travaglio: questa volta l’attore denuncia le affermazioni proferite dal giornalista nel corso della puntata di “Otto e mezzo” dello scorso 9 marzo su La7, alla quale partecipava pure chi scrive. Ad aver fatto imbufalire Renzi senior sono state alcune dichiarazioni di Travaglio, poi parzialmente ridimensionate, secondo cui “se il padre del capo del governo si mette in affari, o s’interessa di affari che riguardano aziende controllate dal governo, non so se sia un reato ma è un gigantesco conflitto di interessi”. Tiziano Renzi guardava il programma e, udite le suddette frasi, ha digitato il numero di telefono dell’avvocato civilista Luca Mirco, al via il secondo round. Poiché non c’è due senza tre, da qualche giorno si è aggiunta pure la ciliegina penale: il difensore Federico Bagattini ha depositato una querela nei confronti di Travaglio per l’editoriale dello scorso 8 marzo in cui lo stesso, a proposito della vicenda genovese conclusa, come s’è detto, con archiviazione del gip, scrive che “chi vuole evitare indagini per bancarotta non ha che da evitare il fallimento delle sue società”. La benedetta Chil Post, precisa il legale, è fallita due anni e mezzo dopo la cessione da parte di Renzi senior al signor Mariano Massone, ed è avvenuta “per cause esclusivamente riconducibili alla gestione del cessionario”. La stessa ordinanza di archiviazione esclude che dopo la cessione avvenuta nell’ottobre 2010 Tiziano Renzi ne sia rimasto amministratore di fatto fino al fallimento del febbraio 2013. A pagina 16 dell’ordinanza si legge: “Né si può affermare che l’indagato, nonostante la cessione delle quote sociali e la contestuale cessazione della carica di amministratore della fallita, abbia continuato a operare come socio occulto o amministratore di fatto della Chil Post e che di conseguenza possano essere a lui addebitate le operazioni di accollo dei debiti gravanti su altre società riconducibili a Massone”. Sarebbero pure diffamatorie, secondo il querelante, le seguenti affermazioni contenute nel medesimo editoriale: “I pm scoprono che Romeo, imprenditore in affari con il governo, è in affari con il padre del capo del governo. Bastava che papà Renzi non si occupasse di Consip e di Romeo, e non ci sarebbe finito”. Un’ipotesi ardita dacché Romeo ha sempre smentito di aver conosciuto o avuto rapporti di alcun genere con Tiziano Renzi. E lo stesso amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni, ha escluso un qualche interessamento di Renzi senior, mediato dall’onnipresente Carlo Russo, in favore dell’imprenditore Romeo. Vedremo come andrà a finire, nel frattempo munitevi di popcorn.