Il machete della gogna
Intercettazioni, dignità, la violenza delle parole senza significato. Ilaria Capua aderisce all’appello del Foglio
Al direttore - Ieri mattina leggevo su Twitter della campagna del Foglio sulla pubblicazione delle intercettazioni. “Noi no”, le intercettazioni non le pubblichiamo. Un severo codice etico autoimposto. Una scelta difficile.
In quel momento ricevo un messaggio da Claudio Cerasa che mi chiedeva di scrivere un mio pensiero sulla pubblicazione delle intercettazioni e su che cosa avessero significato per me. Potevo dire “anche no” e invece ho detto “certo”. Perché questa è una battaglia di civiltà contro la sofferenza inutile e ognuno deve fare la sua parte. Anche io, che su certe cose non vorrei tornarci sopra.
Le intercettazioni che vengono pubblicate sui giornali, proprio perché spesso sono parte di pacchetti di fughe di notizie, non sono altro che estratti di conversazioni, ascoltate e trascritte – senza la benché minima certezza della obiettiva comprensione del loro significato e, quindi, dei fatti a cui si riferiscono.
Al di là delle difficoltà tecniche di comprendere conversazioni tra altre persone, conversazioni che potrebbero essere avvenute anni prima, con audio disturbato, con la linea che va e viene, magari anche “lavorate” da operatori diversi. Al di là dell’errore umano di errata trascrizione e degli errori legati alla comprensione di conversazioni magari in più lingue o dialetti, vi è l’enorme problema della contestualizzazione.
Due persone che sono cresciute insieme possono avere un lessico incomprensibile ai più, anche se si rincontrano dopo anni, per motivi di lavoro leciti o illeciti che siano. Io e un mio amico di liceo ci mandiamo da una vita, regolarmente ai nostri compleanni, un messaggio (a suo tempo cartaceo) con più o meno questo testo “Quest’anno il pacco non è arrivato…”. Oppure: “Ora che sei lontana, dove te lo mando il pacco?”. E’ uno scherzo che nasce trentacinque anni fa.
Che due cinquantenni della dirigenza del paese si scambino messaggi del genere sono affari loro. Ma se sms del genere venissero pubblicati in una ricostruzione complottistica, che Ilaria Capua mandi messaggi a Andrea Guerra di questo tenore potrebbe anche sembrare uno scambio criptico o persino sospetto.
Ci sono poi i trascritti, che sono testi disarmonici e sgraziati, ma soprattutto sono privi di una caratteristica principale delle conversazioni. Il suono. In un trascritto non possono emergere le sfumature di una parola legate alla sua sonorità. La parola “Hello” pronunciata da Donald Trump (…hlo…) o da Marilyn Monroe (…hèlloow…), ha due significati ben diversi, e potrebbe assumerne ancora di più, a seconda dell’interlocutore.
Pensate se l’interlocutore di Trump e Marilyn fosse Obama, quanto potrebbe essere diverso il suono di quegli “hello”. La trascrizione però è “hello”. E basta.
Da ricercatrice, so che per avere risultati corretti e affidabili i miei reagenti e le mie procedure devono avere determinate caratteristiche: le colture devono essere pure, i terreni sterili; i tempi di incubazione ed il pH certi. Altrimenti il risultato sarà inaffidabile. Soldi e tempo buttati.
Il reale significato di una conversazione – nel suo contesto, ottenuto anche tramite l’espressività che la accompagna – mi sembrerebbe una “conditio sine qua non” per pubblicare un estratto di un trascritto, se si intende fornire una informazione corretta e affidabile e si crede nei valori del rispetto e della dignità.
Già, perché oltre all’affidabilità di una notizia ci sono anche il rispetto e la dignità.
In Italia recepiamo le direttive per il benessere degli animali. Per quelli da allevamento, quelli da affezione, quelli da laboratorio. Perché? Perché li rispettiamo come esseri senzienti, esseri dotati della capacità di provare sensazioni. Rispettiamo il loro diritto al benessere.
L’articolo 3 della Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”. Il che è stato affermato e ribadito dall’Onu, secondo cui “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. La dignità è, pertanto, la condizione sancita dalla Costituzione e meritevole del massimo rispetto.
E allora, mi si spieghi per quale motivo io, essere umano senziente, sono costretto a subire, impotente, attacchi alla mia dignità (da indagato o non indagato che sia), pur essendo in quel momento, per la legge, innocente? Non è questa una battaglia di civiltà?
Adesso però vi racconto: contestualizziamo, diamo suono e vita alle parole.
Io ho saputo di essere coinvolta in una maxi-indagine con 41 indagati da un giornalista. Io ho scoperto di essere sotto accusa per reati gravissimi, tra cui quello di essere una presunta trafficante internazionale di virus e di aver creato epidemie ad arte per vendere vaccini e stipiti virali dalla lettura dell’articolo di copertina “Trafficanti di virus”, sull’Espresso del 4 aprile 2014. In questo articolo l’autore si è documentato e ispirato a una informativa segreta dei Nas di Roma del febbraio 2010, nella quale veniva costruita una storia su una cupola dei vaccini (anni 1999-2008), della quale io sarei stata la mente criminale, la donna senza scrupoli che voleva solo arricchirsi, aiutata da una serie di collaboratori e parenti, mettendo a rischio pure la salute pubblica. Ho potuto valutare che le parole del giornalista effettivamente corrispondevano alle accuse contenute nell’avviso di conclusione indagini, oltre due mesi dopo, quando mi è stato recapitato l’avviso, con tutti i suoi capi di imputazione, tramite raccomandata A/R.
Circa due anni dopo, il 5 luglio 2016, il Tribunale di Verona mi ha prosciolta perché il fatto non sussiste. Non c’è stata associazione a delinquere, non c’è stato falso ideologico, non c’è stata concussione, non c’è stato abuso d’ufficio, non c’è stata l’epidemia, non c’è stato traffico né commercio di virus. Niente.
Nell’informativa segreta, e negli articoli che se ne sono nutriti, sono state riportate intercettazioni che mi hanno fatto gelare il sangue per la vergogna, per aver usato a volte un linguaggio che non mi si addice ma che purtroppo, in alcuni momenti, mi appartiene. Altre ancora hanno distrutto rapporti personali, alcuni dei quali erano anche basati sulla stima o sul sincero affetto. Altre intercettazioni mi hanno ferito come con un machete. Sono state pubblicate conversazioni (del 2007) con mio padre, scomparso nel 2013. Brandelli della mia vita personale scaraventati in aria, per essere dati in pasto a complottisti o populisti che non hanno per un attimo dato credito a quello che ero e rappresentavo prima di quel momento. Sono stata sottoposta a un giudizio sommario, per autorizzare qualcuno a dire che sì, anche lei, che sembrava una brava e perbene è in realtà un essere ignobile, falso, senza valori. Tutti marci in Italia, anche gli scienziati.
Passo tuttora notti insonni e piene di incubi. La violenza che si prova a sentirsi sottratta la dignità è umiliante e dolorosa. Di essere scansati o ignorati o peggio ancora di riconoscere un “cambio di marciapiede”, perché non hai neanche più il beneficio del dubbio né hai diritto a un sorriso di circostanza. Sei uno scarto della società. Perché quelle frasi ad effetto, artatamente inserite in un’ipotesi criminale, vera o inventata che sia, ti trasformano. Quelle parole messe in bocca a me o ad altri, senza contesto e senza suono, tono, espressione o enfasi – e quindi orfane del loro significato originale – possono stravolgere le vite ma anche devastarle o distruggerle.
Perché, alla fine, poca importanza hanno i passaggi della sentenza di proscioglimento: per quanto riguarda l’accusa di epidemia, “mancanza, prima di tutto dell’evento” e quanto agli altri capi di accusa più gravi, che comprendono “la diffusione non più controllata del virus dell’influenza aviaria negli allevamenti avicoli del Nord Italia […] con grave pericolo per l’incolumità e la salute pubblica”, si legge testualmente: “E’ dunque evidente come gli inquirenti abbiano stravolto gli esiti dell’inchiesta […] per costruire accuse del tutto prive di fondamento perché poggianti su elementi fattuali non corrispondenti alle emergenze processuali”.
Eccomi, trasformata in un mostro – in base a fatti inesistenti, o peggio ancora inseguita alla costruzione (ripeto costruzione) di accuse del tutto prive di fondamento. Così scrive la giudice per le indagini preliminari, diciassette anni dopo l’inizio dei fatti contestati.
La verità é che mi sarebbe potuta andare molto peggio e, anche per questo, ho sentito il dovere di condividere il mio vissuto con i lettori del Foglio.
La dignità sociale e la presunzione di innocenza sono valori preziosi che abbiamo il dovere di proteggere come società civile. Ma, soprattutto, come individui, comprendendo che le intercettazioni così come vengono passate e riportate dalla stampa, prima del vaglio dibattimentale, sono soltanto frammenti taglienti, privi di significato alcuno che, però, generano una sofferenza tanto profonda quanto inutile a esseri umani che, ripeto, in quel momento per la legge, sono innocenti. Oltre che esseri senzienti.