Perché io, magistrato, dico no alla pubblicazione delle intercettazioni
Guido Salvini aderisce all'appello lanciato dal Foglio
Aderisco all’invito rivolto dal Foglio al mondo della stampa a non pubblicare più le intercettazioni, soprattutto quelle trafugate da un’indagine in corso. Sarò l’unico magistrato, credo, a farlo ma non me ne preoccupo. Resto da sempre contrario ad ogni riduzione della possibilità di disporre intercettazioni ma sono convinto che limitarne la pubblicazione, anche in modo drastico, non sia un bavaglio.
Ho avuto modo di scrivere più volte che un giornalismo serio non dovrebbe pubblicare all’istante intercettazioni che riceve, regola di etica e di correttezza da estendersi alle informazioni di garanzia. I brani di una conversazione, che nessuno ascolta mai in diretta nei toni e nelle pause, sono un materiale grezzo e scivoloso dove abbondano ambiguità, millanterie, enfasi, emozioni, approssimazioni, gerghi e codici di comportamento tra gli interlocutori che le rendono aperte a più interpretazioni, non solo quella confezionata, anche in buona fede, da un investigatore. Avevo scritto che queste parole informi non dovrebbero finire sui giornali almeno sino a quando l’indagato e le persone comunque coinvolte non abbiano almeno avuto modo di difendersi spiegando al magistrato, in un interrogatorio e dopo averle ascoltate, il significato di quanto stavano dicendo.
Dopo aver letto la terrificante esperienza vissuta da Ilaria Capua pubblicata martedì dal Foglio mi sono convinto che si può dire anche di più e che in molti casi sarebbe giusto differirne la messa in piazza anche più tardi, anche alla fine di un’indagine perché solo in quel momento se ne può capire davvero il significato.
I danni dell’attuale pubblicazione selvaggia sono tanti. Una conversazione pubblicata può colpire il singolo cittadino, nessuno escluso perché chiunque può telefonare per mille ragioni a una persona intercettata e allora, come si dice, il suo nome “spunta” in un’indagine e perché l’immagine di nessuno di noi, chi scrive e chi legge compresi, sopravviverebbe alla pubblicazione, anche di una sola settimana scelta a caso, delle sue conversazioni con gli amici.
Quanto ai danni per la vita pubblica è sotto gli occhi di tutti, l’ultima esperienza è quella del caso Consip, che le intercettazioni sono un’arma non convenzionale della lotta politica. Possono far cadere un ministro, un governo, incidono sugli equilibri politici e in modo del tutto eccentrico rispetto all’effettivo contenuto ed esito di un’indagine. Molti processi si celebrano ormai tardivi e quasi postumi perché quanto pubblicato arbitrariamente ha già ottenuto i suoi effetti anche in caso di assoluzione.
Diceva il cardinale Richelieu: “Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini e vi troverò una qualche cosa sufficiente per farli impiccare”. Gli bastava una lettera, figuriamoci oggi un’intercettazione.
Guido Salvini, magistrato