L'ammiraglio e la gogna
Parla Giuseppe De Giorgi, ex capo di stato maggiore della Marina, tra gli archiviati eccellenti nel caso Tempa Rossa: “Contro di me una campagna vergognosa”
Tra gli archiviati eccellenti nel caso Tempa rossa c’è lui, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi. La notizia è che la notizia non c’è, tutti ricordano la gogna mediatica che infilzò l’allora ministro Federica Guidi, neppure indagata ma pubblicamente lapidata per le conversazioni private con il compagno di allora, che alla fine fu costretta alle dimissioni. Non andò meglio a Maria Elena Boschi, all’epoca ministro per le Riforme: fu interrogata in grande stile a Largo Chigi dai pm di Potenza i quali, forse spaesati dalla gita capitolina, dimenticarono di portare con sé il computer. Gli stessi magistrati, in barba alla separazione dei poteri, la inondarono di domande a proposito di un emendamento inserito nella legge di Stabilità, e il ministro, non indagato, dovette giustificarsi per le sacrosante e discrezionali scelte politiche del governo. La plateale intromissione giudiziaria nel merito del processo legislativo non fu denunciata da alcun giornale, a parte quello che leggete. Il clamore mediatico a poche settimane dal referendum sulle trivelle fu assordante, poi calò il silenzio.
Sono passate ugualmente sottotraccia le archiviazioni dell’inchiesta sul petrolio lucano disposte dalla magistratura romana dopo il trasferimento del fascicolo per competenza territoriale. “È l’aspetto più triste e inquietante della vicenda”, commenta l’ammiraglio De Giorgi, il quale poche settimane dopo l’esplosione del caso fu costretto alla pensione senza ipotesi di proroga, concessa invece ai predecessori. Adesso la notizia che non farà notizia è che il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro quotidiani (Corriere, Repubblica, Stampa, Messaggero) e una rete tv (La7) querelati dallo stesso De Giorgi per diffamazione.
“Alcuni mezzi di informazione hanno costruito contro di me una campagna denigratoria senza precedenti, per violenza e durata. Sottolineo alcuni perché diverse testate, tuttora, si astengono dal mettere alla gogna una persona sottoposta a indagine in assenza di materiale probante la sua colpevolezza. Comporre un romanzo sulla base di una informazione provvisoria, qual è il coinvolgimento in una indagine, magari impiegando dossier anonimi, peraltro mai considerati degni di attenzione dalle autorità competenti, significa spazzare via, in un battito d’ali, tante vite”. Sarà dunque un giudice a stabilire se le quattro testate e la tv di Urbano Cairo hanno violato la legge, di sicuro c’è che nel caso dell’ammiraglio De Giorgi la permeabilità di notizie giudiziarie secretate è stata una costante fino alla recente archiviazione. “Mi domando in che repubblica viviamo. L’odio verso la casta si è esteso all’intero apparato dello stato, con il risultato che dileggiare un pubblico ufficiale è ormai uno sport nazionale, una sorta di sfogo collettivo. S’infrange la legge e nessuno viene perseguito, né il giornalista che pubblica, né la fonte. Le notizie non cadono dal pero, qualcuno le trasmette al cronista”.
Ha la pelle abbronzata, l’ammiraglio De Giorgi, sorseggia un Negroni e mi mostra l’ultima edizione della sua rivista di botanica preferita. “Da pensionato forzato, trascorro i weekend con mia moglie all’Argentario, ho rimesso a posto un barchino e mi prendo cura dell’orto. Ero in predicato per diversi incarichi nella pubblica amministrazione quando l’inchiesta si è abbattuta sulla vita mia e dei miei familiari, con una violenza indicibile”. Ad aprile dello scorso anno De Giorgi apprende dai giornali dell’inchiesta potentina, è sempre la stampa a notificargli l’avvenuta archiviazione ad opera della magistratura capitolina. Nel mezzo trascorrono quasi dodici mesi sulla graticola mediatica, aggravata per giunta da un dossier anonimo recapitato a Palazzo Chigi, al ministero della Difesa e in procura.
“Sui giornali venivo accusato di associazione per delinquere, si rende conto di quello che ho provato a vedere il mio nome appaiato a espressioni come cricca e clan? Mi sono recato volontariamente a Potenza per rilasciare dichiarazioni spontanee, in procura ho scoperto di essere indagato soltanto per un presunto caso di abuso di ufficio relativo all’Autorità portuale di Augusta. Peccato che la Marina non avesse alcuna competenza in materia”. In particolare, l’accusa riguardava un presunto scambio di “interessi” tra lui e Gianluca Gemelli, fidanzato dell’ex ministro Guidi. Secondo i pm, Gemelli avrebbe avuto il suo tornaconto grazie alla costruzione di un pontile per lo stoccaggio del petrolio, in cambio avrebbe favorito l’ammiraglio nell’approvazione del progetto sulla flotta natale.
“Un’ipotesi suggestiva ma priva di riscontri. Conoscevo Gemelli solo perché suo padre era un ufficiale di Marina, non l’ho mai frequentato se non in qualche cerimonia pubblica. Né ho mai ricevuto richieste di aiuto per il pontile di Augusta. Pur volendo, non sarei potuto intervenire perché le autorizzazioni spettano alla Regione e non alla Marina”. In effetti, non esistono documenti attestanti eventuali passaggi di autorizzazioni o concessioni tra la Marina e il porto di Augusta, in assenza di un atto ad hoc non può configurarsi la fattispecie dell’abuso. “Ho caldeggiato con determinazione il progetto di ammodernamento della flotta. Il piano di oltre cinque miliardi di euro, all’esame di vari dicasteri ministeriali e commissioni parlamentari, poteva davvero dipendere dall’eventuale interessamento di Gemelli? Come si può credere a una ricostruzione così fantasiosa?”. Alla fine i giudici gli han dato ragione, per l’ammiraglio nessun processo. Figlio d’arte, primo ufficiale a rivestire lo stesso incarico paterno, De Giorgi è il promotore di Mare Nostrum, la più grande operazione umanitaria mai realizzata in Europa con il salvataggio di 156 mila persone in un solo anno. Ancor prima, l’ufficiale guida un elicottero nei soccorsi della popolazione campana per il terremoto del 1980, dirige una squadriglia nella prima guerra del Golfo, nel 2006 gestisce lo sbarco dei caschi blu italiani sulla frontiera tra Libano e Israele. Un medagliere eccezionale, il suo.
“Forse troppo eccezionale per i tempi che viviamo”, risponde. Quando scoppia l’inchiesta, l’allora capo di Stato della Marina militare è accreditato tra i possibili sostituti di Franco Gabrielli a capo della Protezione civile, gode della stima del governo e del Quirinale, le sue capacità diplomatiche gli consentono di ottenere il varo di una “legge navale” con fondi straordinari per l’ammodernamento della flotta, stanziati in un momento di spending review. Oltre cinque miliardi di euro per costruire nuove navi con una doppia vocazione: ottime per combattere ma anche per realizzare ospedali in caso di calamità. Una iniezione di risorse per Finmeccanica, Fincantieri e per l’industria dell’acciaio in affanno a causa della crisi degli impianti di Taranto e Terni. “La mia esposizione ha suscitato invidie e gelosie. Ho lavorato tenacemente per ottenere una flotta degna del nostro ruolo nel mondo”.
Negli stessi giorni dell’inchiesta, spunta il dossier anonimo di un corvo che riferisce di “festini da lui organizzati da comandante a bordo della nave Vittorio Veneto… con tanto di trasferimento a mezzo elicottero di signorine allegre e compiacenti. O di quella volta, sempre da comandante della nave in sosta a New York, che accolse gli invitati a un cocktail a bordo, in sella a un cavallo bianco”. Si descrive un ufficiale che folleggia a champagne e intimorisce i sottoposti, una montagna di accuse priva di riscontro che offusca una carriera militare senza macchia. “Ho trascorso quarantacinque anni nella Marina da fedele servitore dello stato. Simili infamie hanno fatto soffrire la mia famiglia in modo gratuito. Senza che io avessi alcuno strumento per difendermi. Sono state diffuse accuse vecchie, già emerse in passato, con l’evidente intento di darmi una spallata. Evidentemente c’era qualcuno a cui davo molto fastidio. Non è una novità che per inertizzare una persona si cerchi di infangarla affinché le sue azioni di comando siano svilite: agisce così la malavita. I controlli eseguiti negli anni hanno dimostrato la totale infondatezza delle accuse. Noi militari siamo sorvegliati dall’interno, dai servizi, dai carabinieri. Se avessi commesso anche soltanto una di quelle azioni, non sarei diventato neppure capitano di vascello”.
Ammetterà che non è male l’immagine di lei in sella a un cavallo bianco. “Avevo sfilato sul quadrupede, su invito della polizia di New York, per le strade di Little Italy e del Bronx. Quanto ai festini, sulle navi della Marina si organizzavano occasioni di convivialità dove la massima trasgressione era un karaoke o un barbecue”. I pensieri dell’ammiraglio nuotano in fiotti di amarezza. “Un paese civile non tratta i cittadini in questo modo, non permette che si perpetri una violenza aberrante contro i diritti fondamentali di ciascuno. Se pure il giudice mi desse ragione e quei giornali venissero condannati per diffamazione, nessuno mi restituirà la mia reputazione e le occasioni sfumate”. Adesso è il momento del caso Consip dove una procura intercetta il padre dell’ex premier indagato però da un altro ufficio giudiziario per un reato che non ammette captazioni telefoniche. Tra manipolazioni e carabinieri sotto inchiesta per depistaggio. “Apprendo dai giornali ciò che accade, e resto senza parole. In un momento difficile sul piano personale ho ricevuto un sostegno non convenzionale da parte del capo dello stato Sergio Mattarella e dell’ex premier Matteo Renzi. Posso immaginare con quale stato d’animo affrontino questa vicenda lui e la sua famiglia. Mi lasci dire un’ultima cosa”. La ascolto. “Nei mesi terribili della gogna mediatica, la manifestazione di affetto più calorosa è venuta dai miei uomini. Andavo in giro per il paese, continuavo a tenere pubbliche allocuzioni al termine delle quali accadeva qualcosa di inedito in quanto espressamente vietato: interi reparti schierati mi battevano le mani. E io mi commuovevo ogni volta”.