La controinchiesta su Consip si allarga
Ora i pm di Roma mettono il dito nella battaglia tra carabinieri
Roma. L’investigatore che s’è inventato di essere spiato dalle spie per le sue indagini scomode avrebbe fatto lo spione con le spie proprio sull’inchiesta che stava seguendo. In pratica non c’era bisogno che i servizi segreti lo pedinassero, perché era lui a informarli. Questa è la tesi che muove le nuove accuse a Gianpaolo Scafarto, capitano del Noe e braccio operativo del pm Henry John Woodcock nell’inchiesta Consip, che ora è indagato per due motivi diversi. Falso, per aver manipolato nelle informative un’intercettazione ai danni di Tiziano Renzi e per aver accreditato la finta ipotesi di un pedinamento degli 007. Rivelazione di segreto d’ufficio, per aver passato – dicono gli accusatori – atti dell’indagine a veri appartenenti ai servizi segreti.
I pm romani Paolo Ielo e Mario Palazzi ascolteranno Scafarto lunedì e gli chiederanno conto di alcune chat da cui emergerebbe che l’ufficiale avrebbe ripetutamente condiviso informazioni coperte da segreto con ex colleghi del Noe ora in forza all’Aise (i servizi segreti esteri). Chi sarebbero? I nomi non compaiono nella convocazione di Scafarto, ma di certo si sa che recentemente sono passati all’Aise due suoi ex superiori e storiche colonne del Noe: il colonnello Sergio De Caprio (il famoso “capitano Ultimo”) e il maggiore Pietro Rajola Pescarini.
A questo punto la storia si fa ingarbugliata e la vicenda Consip si intreccia – di nuovo – con l’inchiesta Cpl Concordia, sempre condotta dalla procura di Napoli e dal Noe, dalle cui informative sono emerse discordanze e che portò, anche all’epoca, alla pubblicazione di intercettazioni penalmente irrilevanti di Matteo Renzi con il generale della GdF Michele Adinolfi sul medesimo giornale. Il Foglio ha raccontato le anomalie e le analogie tra le due inchieste di Woodcock, su cui tra l’altro sta indagando il Csm – e su cui potrebbero pesare i nuovi elementi che emergono dall’inchiesta penale della procura di Roma. All’epoca dell’inchiesta sulla coop Cpl Concordia, che riguardava la metanizzazione dell’isola di Ischia, i pm napoletani si ritrovarono a indagare per corruzione il generale delle Fiamme gialle Michele Adinolfi. All’origine c’era un errore di persona, ma Woodcock decise di tenere sotto controllo il telefono di Adinolfi, nonostante poi si dimostrerà con la richiesta di archiviazione dello stesso pm che non c’era nessun elemento a suo carico.
E’ in questo periodo che vengono intercettate le telefonate tra il generale e il segretario del Pd Matteo Renzi, totalmente irrilevanti ed estranee all’indagine, poi pubblicate sul Fatto quotidiano (un po’ come è accaduto con le telefonate di Tiziano Renzi con suo figlio Matteo e il suo avvocato). Dopo la pubblicazione delle intercettazioni tra Renzi e Adinolfi nell’Arma dei carabinieri si decide di dare una stretta al Noe, un reparto che lavora da tempo insieme a Woodcock, in maniera abbastanza autonoma e scollegata dal resto del corpo. Così il comandante generale Tullio Del Sette prima sottrae al vicecomandante del Noe Sergio De Caprio le funzioni di polizia giudiziaria e poi lo assegna all’Aise. La cosa non viene accettata di buon grado dagli ufficiali del Noe che, continuando a lavorare sotto la sapiente guida di Woodcock, si ritrovano a indagare nell’inchiesta Consip proprio il generale Del Sette e il generale Emanuele Saltalamacchia, per fuga di notizie. Recentemente i pm di Roma hanno scoperto da una chat che Scafarto voleva intercettare Del Sette e adesso ritengono che teneva informati degli sviluppi dell’indagine i suoi ex colleghi ora ai servizi segreti. Una lunga scia di sospetti che si trascina da anni. Con il passaggio dell’inchiesta da Napoli alla capitale, i pm di Roma hanno tolto la delega al Noe e accusato alcuni ufficiali del Nucleo di fuga di notizie, falso e depistaggio. A Napoli Woodcock, che da anni lavora in maniera simbiotica col Noe, ha confermato piena fiducia.