Cosa non va nella nuova legge sulla tortura
"Nella vaghezza della legge il rischio è l’inapplicabilità", dice Gonnella, presidente di Antigone. Anche il forzista Sisto attacca il populismo penale che "sta riempiendo il codice di norme assurde"
Dopo 4 anni di iter parlamentare, la Camera ha approvato mercoledì la legge che punisce il reato di tortura. Il testo è passato con 198 sì, 35 no e 104 astenuti ma sono in pochi ad esultare. Frutto della sintesi di 11 diverse proposte di legge e più volte modificato nei passaggi tra i due rami del Parlamento, il provvedimento ha diviso le forze politiche e infine ricevuto critiche bipartisan, da Amnesty international ai sindacati di polizia.
“È una legge pessima poiché la sua formulazione è vaga e indeterminata”, spiega al Foglio Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e di Cild. Se finora Antigone, l’associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, ha criticato il macroscopico vuoto normativo, oggi si schiera contro la legge per almeno tre motivi: la previsione della pluralità delle condotte violente, il riferimento alla verificabilità del trauma psichico, i tempi di prescrizione ordinari. “Quando c’è un testo di legge nuovo”, continua Gonnella, “non è facile capire cosa accadrà, immaginarne l’evoluzione. Il fatto che il reato di tortura si possa configurare in tre o più modalità rende la legge criptica, nebulosa”. La nuova norma infatti punirà con il carcere da 4 a 10 anni chiunque, “con violenze o minacce gravi o con crudeltà” provoca “acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico”. Ma questo accade solo se “il fatto è commesso con più condotte o comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”. “La quantità di possibili modalità è amplissima – riassume Gonnella – e dunque sarà di volta in volta il giudice a decidere. Nella vaghezza della legge il rischio è l’inapplicabilità. Non vorrei che la mancanza di chiarezza del testo dia argomento ai magistrati per non fare nulla. I giudici non hanno mai dato prova di grande coraggio: anche casi di percosse palesi spesso venivano archiviati. Si tratta di reati delle istituzioni e i magistrati che decidono di perseguirli rompono una cultura giurisdizionale fossilizzata”.
La critica, di segno opposto, arriva anche dal forzista Francesco Paolo Sisto, componente della Commissione Affari costituzionali che mercoledì, a caldo, commentava: "Il governo sta riempiendo il codice di norme assurde, con un diritto penale del consenso, modaiolo”. Sentito dal Foglio, avverte che il rischio è l’abuso del diritto da parte degli indagati. Sisto reputa la norma pericolosa per le forze dell’ordine che potrebbero quindi assumere una condotta “difensiva” come quei medici che si astengono dalla cura in interventi ritenuti ad alto rischio. “Questa – ricorda Sisto – è la legislatura in cui sono state create più norme penali di tutti i tipi”, dall’omicidio stradale agli interventi contro i piromani di rifiuti, i falsari, gli indebiti importatori di legno e “una serie di reati ambientali pieni di insidie per le aziende”. È quella che, in una lettera a questo quotidiano, Luigi Manconi, primo firmatario del ddl tortura, definiva una “patologia che fa fare un salto di qualità (orribile) al populismo penalista trasformandolo, in men che non si dica, in demagogia punizionista”.
“In un periodo degli anni Novanta – ricorda ancora Gonnella – il dibattito pubblico fu dominato da alcuni episodi di ragazzini che buttando sassi dal cavalcavia avevano ucciso delle persone. Varie proposte di legge volevano istituire l’ ‘omicidio tramite sassi dal cavalcavia’. Una follia che poteva aggiungersi alla selva di norme che affollano il nostro inconoscibile sistema penale. Ma la tortura non risponde a questo paradigma. Mentre in tutti gli altri casi sposiamo la posizione garantista di Luigi Ferrajoli del diritto penale minimo, in caso di tortura la Costituzione prevede l’obbligo della punizione, all’articolo 13”.