Romeo senza catene
Il Riesame annulla l’arresto dell’imprenditore, usato come un “Trojan” per poter indagare “alte figure dello stato”. Il romanzo Consip si sgonfia ancora un po’
Roma. Come in un déjà-vu, Alfredo Romeo torna in libertà. Nel 2015, definitivamente assolto dalla Cassazione dopo 79 giorni trascorsi a Poggioreale, l’imprenditore casertano si lasciò cullare da un mellifluo Travaglio in un’intervista riparatoria sulle colonne del Fatto Quotidiano, una sorta di riabilitazione mediatica per evitare il tribunale. Stavolta il processo per corruzione nell’ennesima storia di appalti non è ancora iniziato, eppure Romeo ha già trascorso 168 giorni da condannato preventivo e chissà come andrà a finire: sarebbe il colmo se anche in questo caso le accuse nei suoi confronti crollassero come un castello di carte. Intanto il lavoro per la procura di Roma, che lo scorso marzo ha richiesto e ottenuto l’arresto dell’imprenditore, nel giorno del suo compleanno, sulla scorta delle indagini condotte dai colleghi partenopei, si complica. Romeo è accusato di aver versato una tangente del valore complessivo di 100 mila euro in quattro anni all’ex dirigente Consip Marco Gasparri il quale, nella veste di “prototipatore”, gli avrebbe fornito informazioni privilegiate per aggiudicarsi le gare. A giugno la sesta sezione penale della Cassazione accoglie il ricorso della difesa contro la decisione del Riesame che confermava il carcere per l’imprenditore incensurato. “Non si comprende dall’ordinanza impugnata – scrivono gli ermellini – di quali contenuti operativi consista ed in quali forme e modalità concrete s’inveri il metodo o il sistema di gestione dell’attività imprenditoriale da parte di Romeo, cui si fa riferimento per giustificare l’ipotizzato esercizio di una capacità d’infiltrazione corruttiva in forme massive nel settore delle pubbliche commesse”. La Suprema corte inoltre chiede al Riesame di svolgere “verifiche sul materiale indiziario emerso dalle operazioni di intercettazione ambientale espressamente utilizzate dal pm a sostegno della propria richiesta e in seguito valutate dal gip”.
Il Riesame dovrà accertare in particolare il collegamento tra la “condotta delittuosa” e l’“esistenza di associazioni criminali” che può giustificare l’impiego di mezzi “particolarmente invasivi” come i captatori informatici (virus spia, totalmente invisibili, in grado di diventare il padrone assoluto dello smartphone o del pc di una terza persona). Adesso il Riesame ordina il rilascio di Romeo. Il quale, sia detto, somiglia a un personaggio balzachiano: più cresce il suo successo, più è pedinato dalla legge; più è messo alle corde, più esce vittorioso da indagini e processi.
A monte dell’inchiesta sulla centrale che arbitra gli appalti della Pa campeggia l’indagine avviata dalla procura partenopea con i pm Henry J. Woodcock e Celeste Carrano su alcuni appalti in odore di mafia all’ospedale Cardarelli di Napoli dove Romeo è tuttora indagato per concorso esterno in associazione camorristica. I suoi difensori, che si preparano a dare battaglia nel processo romano per corruzione a partire da ottobre, incassano un punto in loro favore: “Grazie alla contestazione del 416 bis – scrivono in una nota – Romeo è stato usato come un cavallo di Troia per applicare sistemi elettronici di intercettazione come il Trojan a lui e alle persone con cui veniva in contatto; è stato possibile chiedere proroghe di indagine e intercettazioni che assommano ad oltre due anni e mezzo di investigazioni a 360 gradi; è stato possibile eseguire sequestri di materiale personale e aziendale anche in ambiti che di sicuro non risulteranno essere connessi con le indagini in corso. Ma soprattutto è stato possibile mettere cimici negli uffici della Consip e coinvolgere nell’inchiesta anche alte figure dello stato in un percorso di indagine che lascia chiaramente capire quale potesse essere l’obiettivo finale di tutta l’inchiesta”.
Senza un tale dispiegamento inquisitorio le indagini napoletane non avrebbero superato gli angusti confini campani, mai avrebbero dominato le cronache nazionali con l’enfasi che merita l’inchiesta riguardante un ministro (Luca Lotti) e il padre del premier in carica (Tiziano Renzi). L’assenza dell’appiglio pseudomafioso avrebbe impedito l’uso indiscriminato delle intercettazioni telefoniche e ambientali non solo nei confronti di Romeo ma anche dei vertici Consip e delle alte cariche istituzionali coinvolte. Vedremo come andrà a finire per Romeo, che in autunno affronterà il processo da uomo libero, e per gli indagati eccellenti (per loro la procura capitolina ha chiesto una proroga delle indagini). Del resto, nel Nuovo Cinema Consip che, tra carabinieri infedeli e agenti deviati, ha generato più ipotesi di reato di quante ne stesse cercando, diversi fatti non tornano. Nell’attesa, pop corn per tutti.